Molti sono gli oracoli della Grecia e della Magna Grecia; ma il più antico è quello di Zeus a Dodona. Nei tempi passati due nere colombe si alzarono in volo da Tebe d’Egitto; l’una giunse ad Ammone in Libia, l’altra a Dodona; ambedue si posarono su una quercia che proclamarono essere un oracolo di Zeus. A Dodona, le sacerdotesse interpretano il tubare delle colombe o il frusciare delle foglie di quercia o il tintinnio dei vasi di bronzo appesi ai rami, Zeus ha un altro oracolo famoso in Olimpia, dove i sacerdoti rispondono alle domande, esaminando le viscere degli animali sacrificati.
Il più famoso oracolo è però quello di Delfi. L’oracolo delfico appartenne dapprima alla Madre Terra, che nominò Dafni sua profetessa, e Dafni, seduta su un tripode, inspirava i sacri fumi profetici, come tuttora fa la sacerdotessa pitica. Taluni dicono che la Madre Terra più tardi cedette i suoi diritti alla Titanessa Febe o Temi, e che costei li cedette ad Apollo, il quale si costruì un santuario di rami d’alloro portati da Tempe. Ma altri sostengono che Apollo si impadronì con la forza dell’oracolo della Madre Terra dopo aver ucciso Pitone, e che i suoi sacerdoti iperborei Pagaso e Aguieo stabilirono colà il suo culto. A Delfi si dice che il primo santuario fu fatto con cera d’api e piume; il secondo, con steli di
felce intrecciati; il terzo, con rami. di alloro; e che Efesto costruì il quarto in bronzo, con canori uccelli d’oro appollaiati sul tetto: ma un giorno la terra inghiottì questo tempio; il quinto santuario, costruito con pietra levigata, bruciò nell’anno della cinquantottesima Olimpiade (489 a.C.), e fu sostituito con il santuario che tuttora si ammira. Apollo possiede molte altre sacre sedi oracolari, come quelle sul monte Liceo e sull’Acropoli ad Argo, ambedue rette da una sacerdotessa. Ma a Ismenio in Beozia i suoi oracoli vengono emanati da sacerdoti che esaminano le viscere delle vittime; a Claro, presso Colofone, il veggente beve l’acqua di un pozzo segreto e pronuncia l’oracolo in versi; mentre a Telmesso e altrove si interpretano i sogni.
Le sacerdotesse di Demetra danno oracoli per i malati a Patre, leggendo in uno specchio immerso in un pozzo con una corda. A Fare, in cambio di una moneta di rame, i malati che consultano Ermete sono certi di ricevere responsi dalle prime parole udite casualmente mentre attraversano la piazza del mercato. Era ha un venerabile oracolo presso Page; e la Madre Terra è ancora consultata a Egira in Acaia, che significa “il luogo dei neri pioppi”, dove le sue sacerdotesse bevono sangue di toro, veleno letale per tutti gli altri mortali. Oltre a questi, vi sono molti oracoli di eroi: l’oracolo di Eracle, a Bura in Acaia, dove si ottengono responsi lanciando quattro dadi e numerosi oracoli di Asclepio, dove i malati accorrono per conoscere la loro cura e ricevono il responso in sogno dopo un digiuno. Inoltre, Pasifae ha a Talame in Laconia un oracolo patrocinato dai re di Sparta, dove si danno i responsi sotto forma di sogni.
Taluni oracoli si possono consultare meno facilmente di altri. A Lebadea ad esempio si trova un oracolo di Trofonio, figlio di Ergine l’Argonauta, dove il supplice deve purificarsi con parecchi giorni d’anticipo, alloggiare in un edificio dedicato alla Buona Fortuna e a un certo Buon Genio, bagnarsi soltanto nel fiume Eroina e sacrificare a Trofonio, alla sua nutrice Demetra Europe e ad altre divinità. In quel periodo il supplice si nutrirà di carni sacre, specialmente delle carni dell’ariete offerto in sacrificio all’ombra di Agamede, fratello di Trofonio, che lo aiutò a costruire il tempio di Apollo a Delfi. Quando è in condizioni di consultare l’oracolo, il supplice viene condotto al fiume da due fanciulli tredicenni, e colà è lavato e unto. Poi beve a una fonte chiamata Acqua del Lete, che lo aiuterà a scordare il suo passato, e a un’altra fonte vicina, detta Acqua della Memoria, che lo aiuterà a rammentare ciò che ha
visto e udito. Calzati zoccoli da contadino, indossata una tunica di lino e una rete, come fosse una vittima sacrificale, egli si avvicina alla voragine dell’oracolo che somiglia a un enorme forno da pane, profonda sette metri, dove egli discende con l’aiuto di una scala. Giunto sul fondo, trova una stretta apertura in cui insinuerà le gambe, reggendo in ambe le mani un pane d’orzo impastato con miele. Dopo un improvviso strattone alle caviglie, gli parrà di essere travolto come dal gorgo di un fiume in piena e nell’oscurità sarà colpito alla nuca e gli parrà di morire, mentre una voce invisibile gli rivela il futuro e molte altre cose segrete. Non appena la voce si tace, il supplice perde i sensi e viene trasportato alla bocca della voragine con i piedi in avanti, privo delle focacce d’orzo; dopo di che lo si insedia sul Trono della Memoria, dove gli si chiede di ripetere ciò che ha udito. Infine, con la mente ancora annebbiata, ritorna alla casa del Buon Genio, dove ricupera i sensi e la capacità di sorridere. La voce invisibile è quella di uno dei Buoni Geni dell’età dell’oro di Crono, che discesero dalla luna e si incaricarono di presiedere agli oracoli e ai riti iniziatici, e di purificare, sorvegliare e salvare i mortali in ogni luogo; codesto Buon Genio consulta l’ombra di Trofonio, che ha la forma di serpente, e dà i suoi responsi in cambio delle focacce d’orzo del supplice.
Alcuni appunti sui maggiori oracoli della Grecia antica, riassunti dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
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Il racconto del mito di Afrodite è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 18:
Lusingata dall’aperta dichiarazione d’amore di Ermes, Afrodite passò una notte con lui, e il frutto di quella breve avventura fu Ermafrodito, creatura dal doppio sesso. Afrodite ringraziò a modo suo anche Poseidone per essere intervenuto in suo favore, e gli generò due figli. Rodo ed Erofilo. Inutile dire che Ares non mantenne la sua promessa, sostenendo che, se Zeus si era rifiutato di pagare, egli poteva fare altrettanto. Alla fine Efesto rinunciò al risarcimento, perché era pazzamente innamorato di Afrodite e non aveva intenzione di divorziare da lei. Afrodite cedette poi anche alle lusinghe di Dioniso e gli generò Priapo, un orrendo fanciullo dagli enormi genitali: fu Era che gli diede quell’osceno aspetto, in segno di disapprovazione per la promiscuità di Afrodite. Priapo è giardiniere e porta sempre con sé un coltello da potatura. Benché Zeus, contrariamente a quanto taluni sostengono, non si giacesse mai con Afrodite, sua figlia adottiva, la magica cintura agiva anche su di lui sottoponendolo a una tentazione continua, ed egli infine decise di umiliare la dea facendola innamorare disperatamente di un mortale. Costui fu il bell’Anchise, re dei Dardani, nipote di Ilo: una notte, mentre egli dormiva nella sua capanna di mandriano sul monte Ida, presso Troia, Afrodite si recò da lui travestita da principessa frigia, il corpo avvolto in un manto di un bel rosso smagliante, e si giacque con Anchise su un letto di pelli d’orso e di leone, mentre le api ronzavano loro attorno. Quando all’alba si separarono, Afrodite rivelò al giovane la sua identità e gli fece promettere di non dire ad alcuno che era andato a letto con lei. Anchise, atterrito all’idea di avere svelato la nudità di una dea, la supplicò di risparmiargli la vita. Afrodite lo rassicurò dicendo che non aveva nulla da temere, e che il loro figliolo sarebbe diventato famoso. Alcuni giorni dopo, mentre Anchise stava bevendo in compagnia di certi amici, uno di essi gli chiese: «Non pensi sia più piacevole andare a letto con la figlia del Tal dei Tali anziché con Afrodite?» «No», rispose sbadatamente Anchise, «perché sono andato a letto con tutte e due e il paragone mi sembra assurdo». Zeus udì questa vanteria e scagliò contro Anchise una folgore che l’avrebbe ucciso senz’altro, se Afrodite non l’avesse salvato all’ultimo momento proteggendolo con la magica cintura. La folgore scoppiò ai piedi di Anchise senza ferirlo, ma lo spavento fu tale che il giovane da quel giorno non riuscì più a raddrizzare la schiena e Afrodite, dopo avergli generato il figlio Enea, perse ogni interesse per lui.
Un giorno la moglie di re Cinira di Cipro stupidamente si vantò che sua figlia Smirna era più bella della stessa Afrodite. La dea si vendicò di quell’insulto facendo sì che Smirna si innamorasse di suo padre e si introducesse nel suo letto in una notte buia, quando Cinira era tanto ubriaco da non capire quel che stava accadendo. Più tardi egli scoprì d’essere al tempo stesso padre e nonno del figlio che Smirna portava in grembo e, pazzo di rabbia, afferrò una spada e inseguì Smirna fuori del palazzo. La raggiunse sul ciglio di una collina, ma in gran fretta Afrodite trasformò Smirna in un albero di mirra, che fu tagliato in due dal gran fendente vibrato da Cinira. Dal tronco uscì il piccolo Adone. Afrodite, già pentita dell’errore commesso, chiuse Adone in un cofano e lo affidò a Persefone, regina dei Morti, chiedendole di celarlo in qualche angolo buio. Persefone, mossa dalla curiosità, aprì il cofano e vi trovò dentro Adone. Il fanciullo era così bello che Persefone lo portò con sé nel suo palazzo. Afrodite fu informata della cosa e subito scese nel Tartaro per reclamare Adone. E quando Persefone non volle cederglielo perché ne aveva già fatto il suo amante, Afrodite si appellò a Zeus. Zeus, ben sapendo che anche Afrodite era smaniosa di andare a letto con Adone, rifiutò di dirimere una questione così sgradevole e la deferì a un tribunale di minore importanza, presieduto dalla Musa Calliope. Il verdetto di Calliope fu che Persefone e Afrodite avevano uguali diritti su Adone, poiché Afrodite l’aveva salvato al momento della nascita, e Persefone l’aveva salvato in seguito, aprendo il cofano; tuttavia bisognava concedere al giovane una breve vacanza annuale, perché non dovesse sempre soggiacere alle amorose pretese delle due insaziabili dee. Calliope divise dunque l’anno in tre parti eguali: Adone avrebbe trascorso la prima in compagnia di Persefone, la seconda in compagnia di Afrodite, e la terza da solo. Afrodite non si comportò lealmente: indossando sempre la magica cintura indusse Adone a trascorrere con lei anche quella parte dell’anno che gli spettava come vacanza e ad accorciare il periodo che spettava a Persefone, disobbedendo così agli ordini del tribunale. Persefone, giustamente irata, andò in Tracia e disse al suo benefattore Ares che ormai Afrodite gli preferiva Adone. «Un semplice mortale», aggiunse, «e per di più effeminato!» Ares si ingelosì e, trasformatesi in cinghiale, si precipitò su Adone che stava cacciando sul monte Libano e lo azzannò a morte davanti agli occhi di Afrodite. Anemoni sbocciarono dal sangue di Adone e la sua anima discese al Tartaro. Afrodite, in lacrime, si recò da Zeus e chiese che fosse concesso ad Adone di trascorrere soltanto la metà più cupa e triste dell’anno in compagnia di Persefone, mentre nei mesi estivi sarebbe ridivenuto il suo compagno. E Zeus magnanimamente acconsentì.
Le Moire assegnarono ad Afrodite un solo compito divino, quello di fare all’amore; ma un giorno Atena la sorprese mentre segretamente tesseva a un telaio, e si lagnò che tentasse di usurpare le sue prerogative; Afrodite le fece le sue scuse e da allora non alzò più nemmeno un dito per lavorare.
Care amiche e cari amici,
Il racconto del mito di Apollo è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 3: 