Le dodici fatiche di Eracle: 9) La cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni

Le dodici fatiche di Eracle: 9) La cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Le dodici fatiche di Eracle: 7) Il toro di Creta; 8) Le cavalle carnivore di Diomede

Nona Fatica di Eracle fu di portare ad Admeta, la figlia di Euristeo, l’aurea cintura di Are usata da Ippolita, regina delle Amazzoni. Partito su una nave o, altri dicono, con una flotta di nove navi, in compagnia di volontari, fra i quali erano Iolao, Telamone di Egina, Peleo di Iolco e forse anche Teseo di Atene, Eracle salpò per il fiume Termodonte. Le Amazzoni erano figlie di Are e della Naiade Armonia, nate nelle segrete valli della frigia Acmonia; ma altri dicono che loro madre fu Afrodite, oppure Otrera, figlia di Are. Dapprima vissero lungo le rive del fiume Amazzonia, ora chiamato Tanai dal nome del figlio dell’Amazzone Lisippa che offese Afrodite col suo disprezzo per il matrimonio e il suo amore per la guerra. Smaniosa di vendicarsi, Afrodite fece sì che Tanai si innamorasse di sua madre; ma, piuttosto che cedere a quell’incestuosa passione, egli si gettò nel fiume e annegò. Per sfuggire alla sua ombra lamentosa, Lisippa allora guidò le sue figlie lungo le rive del Mar Nero, fino alla pianura bagnata dal Termodonte che nasce dagli altissimi monti Amazzoni. Colà esse si divisero in tre tribù e ogni tribù fondò una città. Allora come oggi, le Amazzoni ammettevano soltanto la discendenza matrilineare, e Lisippa stabilì che agli uomini toccasse di sbrigare le faccende domestiche, mentre le donne combattevano e governavano. Venivano perciò fratturate le gambe e le braccia dei bambini perché non fossero poi in grado di viaggiare o battersi in guerra. Queste donne anormali, che gli Sciti chiamano Eorpata, erano guerriere stupende e per prime usarono la cavalleria. Avevano archi di bronzo e piccoli scudi a forma di mezzaluna; i loro elmi, le loro vesti e le loro cinture erano fatti con le pelli di animali feroci. Lisippa, prima di morire in battaglia, fondò la grande città di Temiscira e sconfisse tutte le tribù nemiche fino al fiume Tanai. Con il bottino delle sue vittorie innalzò templi ad Artemide Tauropolo, di cui diffuse il culto. Le sue discendenti estesero a occidente l’impero delle Amazzoni, oltre il fiume Tanai, fino alla Tracia, e più a sud, oltre il fiume Termodonte, fino alla Frigia. Tre famose regine delle Amazzoni, Marpesia, Lampade e Ippo, si impadronirono di gran parte dell’Asia Minore e della Siria e fondarono le città di Efeso, Smirne, Cirene e Mirina. Altre città fondate dalle Amazzoni sono Tiba e Sinope. A Efeso innalzarono un simulacro ad Artemide sotto un faggio e Ippo le offrì sacrifici; poi le sue seguaci eseguirono la danza degli scudi e un’altra danza tutte in cerchio, agitandosi e battendo il suolo coi piedi all’unisono, al suono di zufoli, poiché Atena non aveva ancora inventato il flauto. Il tempio di Artemide Efesia, costruito poi attorno a questo simulacro e di una magnificenza tale che non può esser eguagliata nemmeno da quella del tempio apollineo a Delfi, è considerato una delle sette meraviglie del mondo; lo circondano due rivi, ambedue chiamati Seleno e che scorrono in opposte direzioni. Fu nel corso di quella spedizione che le Amazzoni invasero la terra di Troia, quando Priamo era ancora bambino. Ma mentre una parte dell’esercito delle Amazzoni ritornava in patria con il ricco bottino, le truppe rimaste per consolidare il dominio sull’Asia Minore furono sopraffatte da alcune tribù barbare e perdettero la loro regina Marpesia.

Al tempo in cui Eracle visitò le Amazzoni, esse erano tutte ritornate sulle rive del fiume Termodonte e le loro città erano governate da Ippolita, Antiope e Melanippa. Nel corso del viaggio Eracle si fermò all’isola di Paro, famosa per il suo marmo, che il re Radamanto aveva lasciato in eredità a un certo Alceo, figlio di Androgeo; ma vi si erano stabiliti anche quattro dei figli di Minosse, Eurimedonte, Crise, Nefalione e Filolao. Un paio degli uomini di Eracle, scesi a terra per far provvista d’acqua, furono assassinati da uno dei figli di Minosse e l’eroe allora, furibondo, li uccise tutti e quattro e minacciò i Pari con tanta violenza che essi proposero di scegliersi nell’isola due uomini che lo servissero come schiavi, in cambio dei due marinai periti. Soddisfatto da quella proposta, Eracle scelse re Alceo e suo fratello Stenelo e li prese a bordo della sua nave. Poi navigò attraverso l’Ellesponto e il Bosforo fino a Mariandine nella Misia, dove fu ospitato dal re Lieo di Paflagonia, figlio di Dascilo e nipote di Tantalo. In cambio diede il suo appoggio a Lieo nella guerra contro
i Bebrici e uccise molti di loro, compreso il re Migdone, fratello di Amico; riconquistò ai Bebrici gran parte della terra di Paflagonia e la restituì a Lieo, che la chiamò Eraclia in suo onore. In seguito l’Eraclia fu colonizzata dai Megaresi e dai Tanagresi per consiglio della Pizia di Delfi, che disse loro di fondare una colonia sulle rive del Mar Nero, in una regione sacra a Eracle. Arrivato alla foce del fiume Termodonte, Eracle gettò l’ancora nel porto di Temiscira, dove Ippolita gli fece visita e, attratta dal suo corpo muscoloso, gli offrì la cintura di Ares come pegno d’amore. Frattanto Era, travestita da Amazzone, girava per la città spargendo la voce che gli stranieri avevano intenzione di rapire Ippolita; al che le indignate guerriere balzarono a cavallo e si lanciarono all’assalto della nave. Eracle, che sospettò un tradimento, uccise Ippolita seduta stante, le sfilò la cintura, si impadronì della sua ascia e di altre armi e si preparò a difendersi. Uccise a una a una le Amazzoni che guidavano le attaccanti e infine mise il loro esercito in rotta, dopo grandissima strage. Altri tuttavia dicono che Melanippa era stata fatta prigioniera in un’imboscata e riscattata da Ippolita con la sua cintura o viceversa. Oppure che Teseo catturò Ippolita e donò la cintura a Eracle, che in cambio gli concesse di fare di Antiope la sua schiava. Oppure che Ippolita rifiutò di consegnare la cintura a Eracle e che lottarono aspramente tra loro; Ippolita cadde dal suo cavallo ed Eracle, ritto su di lei, con la clava in mano, si dichiarò disposto a concederle grazia: ma Ippolita preferì morire piuttosto che arrendersi. Si dice anche che la cintura appartenesse alla figlia del Centimane Briareo.

Al suo ritorno da Temiscira, Eracle sostò di nuovo a Mariandine dove partecipò ai giochi funebri in onore del fratello di re Lieo, Priola, che era stato ucciso da Misi; in suo onore si cantano ancor oggi canti funebri. Eracle si batté con Tizia, campione dei Mariandini, in una gara di pugilato: gli spaccò tutti i denti e poi lo uccise involontariamente con un pugno alla tempia. Spiacente per l’accaduto, combatté allora vittoriosamente contro i Misi e i Frigi in nome di Dascilo; respinse anche i Bitini fino alla foce del fiume Reba e le più alte pendici del monte Coione e si aggiudicò il loro regno. I Paflagoni di Pelope invece gli si arresero volontariamente. Ma non appena Eracle fu partito, i Bebrici, guidati da Amico, figlio di Posidone, si impadronirono di nuovo della terra di Lieo portando i loro confini fino alle rive del fiume Ipio. Eracle veleggiò poi verso Troia e salvò Esione da un mostro marino; continuò il suo viaggio fino a Eno in Tracia, dove fu ospitato da Poltide e mentre era sul punto di riprendere il mare uccise con una freccia, sul lido eneo, l’insolente fratello di Poltide, Sarpedone, figlio di Poseidone. In seguito soggiogò i Traci che si erano stabiliti a Taso, e affidò l’isola ad Androgeo, che aveva portato con sé da Paro. A Torone fu sfidato a una gara di lotta da Poligono e Telegono, figli di Proteo. Li uccise tutti e due. Giunto infine a Micene, Eracle consegnò la cintura a Euristeo, che la donò a Admeta. Per quanto riguarda il resto del bottino carpito alle Amazzoni, Eracle offrì le loro ricche vesti al tempio di Apollo a Delfi, e l’ascia di Ippolita alla regina Onfale, che la serbò nel tesoro dei re lidi. In seguito fu portata nel tempio cario di Zeus Labradio e posta nelle mani del suo divino simulacro.

Le Amazzoni vivono ancora in Albania, presso la Colchide, perché furono scacciate da Temiscira assieme ai loro vicini, i Gargarensi. Rifugiatisi sulle montagne albanesi, i due popoli si separarono: le Amazzoni si stabilirono ai piedi del Caucaso, lungo le rive del fiume Mermoda, i Gargarensi più a nord. In un giorno stabilito, a ogni primavera, le giovani Amazzoni e i giovani Gargarensi si ritrovano sulla sommità di una montagna che separa i due territori e, dopo aver sacrificato agli dèi, trascorrono due mesi assieme, abbandonandosi a promiscui amplessi col favore della notte. Non appena un’Amazzone si accorge di essere incinta ritorna a casa. Tra i piccoli nati le femmine diventano Amazzoni e i maschi vengono affidati ai Gargarensi i quali, non potendo stabilirne con esattezza la paternità, li distribuiscono come capita nelle varie capanne. In tempi recenti la regina Minizia abbandonò la sua corte albanese per incontrarsi con Alessandro Magno nell’Ircania infestata da tigri. Colà godette della sua compagnia per tredici giorni, sperando di avere un figlio; ma morì poco dopo senza prole.

Queste Amazzoni del Mar Nero non vanno confuse con le alleate libiche di Dioniso che un tempo abitarono in Espera, un’isola del lago Tritonide così ricca di alberi da frutto e di greggi che non era necessario coltivarvi il grano. Dopo aver conquistato tutte le città dell’isola, salvo la sacra Mene, patria degli Etiopi divoratori di pesce (che estraevano dalle miniere smeraldi, rubini, topazi e calcedonio), sconfissero i loro vicini libici e nomadi e fondarono la grande città di Chersoneso, così chiamata perché sorgeva su una penisola. Da questa base attaccarono gli Atlanzi, il popolo più civile a occidente del Nilo, che ha la sua capitale nell’isola atlantica di Cerne. Mirina, regina delle Amazzoni, radunò un esercito di trentamila cavalieri e tremila fanti. Tutte portavano archi e quand’erano costrette a battere in ritirata se ne servivano per scoccare contro i loro inseguitori frecce infallibili. Indossavano armature fatte con la pelle dei serpenti libici, di incredibili proporzioni. Invaso il territorio degli Atlanzi, Mirina inflisse loro una irrimediabile sconfitta. Poi sboccò a Cerne, conquistò la città, passò gli uomini a fil di spada, fece schiave le donne e rase al suolo le mura. Quando gli Atlanzi superstiti acconsentirono ad arrendersi li trattò con nobiltà e per compensarli della perdita di Cerne costruì la nuova città di Mirina, dove si stabilirono i prigionieri e chiunque altro desiderasse viverci. Gli Atlanzi le tributarono allora onori divini e Mirina acconsentì a proteggerli dalla vicina tribù dei Gorgoni: molti ne uccise in una furibonda battaglia, e inoltre catturò non meno di tremila prigionieri. La notte tuttavia, mentre le Amazzoni banchettavano per festeggiare la vittoria, i prigionieri rubarono le loro spade e, a un segnale convenuto, il grosso dell’esercito gorgonio, che si era radunato in un vicino bosco di querce, dilagò da ogni parte per massacrare i seguaci di Mirina. Mirina riuscì a fuggire (le sue compagne morte giacciono sotto tre grandi tumuli che sono ancor oggi chiamati Tombe delle Amazzoni) e dopo aver attraversato gran parte della Libia entrò in Egitto con un nuovo esercito, si alleò a re Oro, figlio di Iside, e passò a invadere l’Arabia. Taluni dicono che queste Amazzoni libiche, e non le Amazzoni del Mar Nero, conquistarono l’Asia Minore. E che Mirina, dopo avere scelto la sede che più le garbava nel suo nuovo impero, fondò molte città costiere, comprese Mirina, Cima, Pitana, Priene e altre ancora nell’entroterra. Conquistò anche molte isole egee, fra cui Lesbo, dove costruì la città di Miritene, così chiamata dal nome di sua sorella che partecipò alla campagna. Mentre Mirina era ancora impegnata nella conquista delle isole, una tempesta si abbatté sulla sua flotta; ma la Madre degli dèi guidò le navi sane e salve fino a Samotracia, allora disabitata, che Mirina le consacrò, innalzando altari e offrendo splendidi sacrifici. Mirina si recò poi nella Tracia continentale dove il re Mopso e il suo alleato, lo scita Sipilo, la sconfissero in leale combattimento, e Mirina fu uccisa. L’esercito delle Amazzoni non riuscì più a riprendersi dopo tale rovescio; sconfitte dai Traci in frequenti scaramucce, le superstiti si ritirarono infine in Libia.

Vai a: Le dodici fatiche di Eracle: 10) Le mandrie di Gerione

ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

Cosa facciamo noi de La Voce delle Muse
Ti piacciono i nostri post? Vuoi sostenerci con un piccolo contributo? Offrici un caffè

Comments are closed.