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Face to Face – Intervista a Carl Gustav Jung – MATERIALE UTILE

Face to Face – Intervista a Carl Gustav Jung – MATERIALE UTILE

Nel marzo del 1959, lo psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung fece questa intervista con John Freeman per il programma televisivo della BBC “Face to Face”. L’intervista venne registrata nella sua casa alla Seestraße a Küsnacht, sul lago di Zurigo. Il documentario introdusse Jung al grande pubblico, più delle sue opere e di altre interviste: il tono onesto e discorsivo di Jung affascina e arricchisce. Nel filmato lo sentirete parlare della sua famiglia, della sua infanzia, dei suoi studi, del suo primo incontro con Freud, dell’inconscio collettivo, del destino dell’umanità.

Andreas Barella, da sempre innamorato di questa intervista, la ha completamente sottotitolata da zero (le traduzioni esistenti e quelle automatiche non lo soddisfacevano). Qui trovate tutta la lunga e ricchissima intervista a Carl Gustav Jung, sul canale youtube di Andreas, ISCRIVETEVI AL CANALE! (Basta cliccare sul rotondino con la faccia di Andreas in alto a sinistra, in seguito su “iscriviti”) GRAZIE MILLE!

 

BIBLIOGRAFIA MENZIONATA NEL FILMATO

Nel corso dell’intervista, si parla dei seguenti volumi:

Sigmund Freud, L’Interpretazione dei Sogni Il libro che ha aperto le porte, all’alba del 20 secolo, alla psicoanalisi.

Sigmund Freud, Studi sull’isteria e altri scritti Trovate sotto a questo titolo anche altri volumi dello opere di Freud

Qui trovate anche tutta l’opera di Freud, in comodo formato ebook ad un prezzo eccezionale NATURALMENTE le trovate anche a LaFilanda, ma se vi servono per fare copia incolla di passaggi interessanti ecc, qua trovate la versione digitale di tutte le opere di Freud.

Carl Gustav Jung, Tipi psicologiciJung era del tipo PENSIERO e INTUITO, come afferma nell’intervista. Voi di che tipo siete?

Le lettere di Freud e Jung, menzionate nel filmato le trovate in appendice a Ricordi, Sogni, Riflessioni di Carl Gustav Jung. Leggete qua la recensione di Andreas Barella al volume

Carl Gustav Jung, L’Io e l’Inconscio. Il primo tentativo di Jung di chiarire gli affascinanti concetti di Io e di Inconscio.

Carl Gustav Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo. Il titolo dice tutto!

Carl Gustav Jung, Opere complete e integrali. Anche queste le trovate a LaFilanda, ma se vi servono, l’investimento vale la pena: 12215 pagine di pura delizia!

 

OPERE DI JUNG RECENSITE DA ANDREAS QUA SUL SITO DELLE MUSE

Ricordi, Sogni, Riflessioni di Carl Gustav Jung è un libro che offre una profonda e personale introspezione sulla vita dell’autore e sulla sua comprensione della psicologia umana. Jung, noto come uno dei più importanti psicoanalisti della storia, ci guida attraverso i momenti salienti della sua vita, dai sogni infantili ai viaggi nel deserto, alle conversazioni con Freud e alla scoperta dell’inconscio collettivo. La scrittura è fluida e coinvolgente, e la profondità delle riflessioni di Jung è sorprendente. Si ha l’impressione di essere seduti accanto a lui mentre rivela i dettagli della sua vita e delle sue teorie… Continua a leggere la recensione di Andreas Barella

Simboli della trasformazione è il quinto volume delle Opere dello psichiatra e analista svizzero ed esplora il processo di individuazione e la natura simbolica dell’inconscio. Prima di parlarne, ecco un riassunto costruito con alcune citazioni significative tratte dall’opera… Continua a leggere la recensione

 

Chi è Andreas Barella: la sua presentazione sul nostro sito
Il sito ufficiale di Andreas

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Recensione: “Simboli della trasformazione” di Carl Gustav Jung

Recensione: “Simboli della trasformazione” di Carl Gustav Jung

Simboli della trasformazione è il quinto volume delle Opere dello psichiatra e analista svizzero ed esplora il processo di individuazione e la natura simbolica dell’inconscio. Prima di parlarne, ecco un riassunto costruito con alcune citazioni significative tratte dall’opera:

  • “La trasformazione inizia con la consapevolezza della propria ombra, quella parte di noi stessi che preferiamo ignorare o rifiutare. Solo accettando l’ombra possiamo intraprendere un vero cammino di crescita interiore.”
  • “L’inconscio si esprime attraverso simboli, che rappresentano archetipi universali. Questi simboli possono assumere forme mitologiche, religiose o oniriche, ma sono sempre veicoli di significato profondo.”
  • “La visione onirica è una finestra sull’inconscio. I sogni ci mostrano immagini simboliche che riflettono i nostri desideri, le nostre paure e le nostre aspirazioni più profonde.”
  • “La trasformazione richiede un confronto con l’animus (nella donna) o l’anima (nell’uomo), le rappresentazioni interne dell’altro sesso. Integrare queste figure interiori porta a una maggiore completezza e equilibrio.”
  • “I simboli alchemici rappresentano il processo di trasformazione interiore. L’opera alchemica di trasmutazione degli elementi corrisponde alla nostra ricerca di integrazione e realizzazione di sé.”
  • “Il mandala è un potente simbolo di totalità e integrazione. La sua forma circolare rappresenta l’unità e l’armonia degli opposti, offrendo un punto di riferimento stabile durante il percorso di trasformazione.”
  • “L’archetipo del Sè rappresenta la totalità e l’essenza più profonda dell’individuo. Il Sè è il punto di equilibrio che cerca di realizzarsi nel corso della vita, spingendo verso l’integrazione e l’individuazione.”
  • “La trasformazione richiede un atto di coraggio e di abbandono di vecchi schemi. Bisogna essere disposti a lasciare andare le vecchie identità e ad abbracciare l’incertezza del processo di cambiamento.”

Simboli della trasformazione è il libro con cui Jung diede inizio a quello che chiamò il progetto di psicologia complessa e che trasformò la psicoanalisi da una “setta” ad una disciplina multidisciplinare e attenta alla complessità. “Questo libro fu da me scritto nel 1911 a 36 anni: un momento critico, giacché segna l’inizio della seconda metà della vita nella quale non di rado si verifica una metanoia, un mutamento d’opinione. 

Freud e JungSimboli della trasformazione fu il libro che segnò profondamente il rapporto – allora già incrinato – tra i due pionieri della psicoanalisi e della psicologia moderna, quello tra Freud e Jung, che furono appassionati colleghi e amici. In Ricordi, Sogni, Riflessioni (di cui abbiamo parlato qui), Jung parla di questo libro come del volume che la psiche gli “impose” di scrivere di getto per liberarsi del senso di abbandono e di vuoto conseguente alla rottura con Freud. Infatti, nel libro (ed è la parte forse più noiosa, per il lettore del 2023 che nella diatriba Freud-Jung ha poco interesse) spesso Jung confuta le idee del suo collega cercando di allargare il concetto di libido da una forza puramente “sessuale” a una forza più genericamente “creativa”. Per far questo utilizza il caso, riportato in una rivista di settore di qualche tempo prima, della signorina Miller, una poetessa e professoressa di New York, che Jung non incontrò mai, ma che aveva raccontato al suo analista diversi suoi sogni e visioni commentandoli.

Parlando del libro, Jung disse che “Il vero intento di questo libro è solo quello di elaborare il più a fondo possibile tutti i fattori storici e spirituali che confluiscono nei prodotti involontari di una fantasia individuale. Accanto alle ovvie fonti personali, la fantasia creatrice dispone anche dello spirito primitivo, dimenticato e da lungo tempo sepolto con le sue immagini peculiari palesantisi nelle mitologie di tutti i tempi e di tutti i popoli. L’insieme di queste immagini costituisce l’inconscio collettivo, retaggio presente potenzialmente in ogni individuo. Esso è il corrispettivo psichico della differenziazione del cervello umano. Questo è il motivo per il quale le immagini mitologiche possono rinascere senza posa spontaneamente sempre in armonia tra di loro, non solo in tutti gli angoli del vasto mondo ma anche in tutti i tempi. Esse sono presenti sempre e dappertutto. Ne deriva ovviamente la possibilità di mettere in relazione i mitologemi più distinti fra loro per divario temporale ed etnico con un sistema di fantasie individuali. La base creativa è dappertutto la stessa psiche umana e lo stesso cervello umano che, con varianti relativamente minime, funziona dappertutto nello stesso modo.”

Non entrerò nel dettaglio della struttura del libro, che parla della nascita e sviluppo della figura dell’Eroe  e del suo rapporto ed emancipazione dalla figura della madre, o per dirla in altre parole, il percorso dell’Io che si individua differenziandosi dall’Inconscio, rimanendone però indissolubilmente legato. Da questo confronto scaturiscono innumerevoli immagini e motivi archetipici che continuano a ritornare nelle visioni e sogni ed esperienze di tutte le persone di tutti i tempi di tutti i luoghi della terra. Il libro ne elenca e discute alcuni con il supporto di tavole che riportano opere d’arte antica e medievale e che suffragano le teorie esposte. Una lettura affascinante e abbastanza scorrevole (seppur ricca e complessa).

Ancora Jung: “La conoscenza dei contenuti soggettivi della coscienza non dice ancora assolutamente nulla della psiche e della sua vera vita sotterranea. Anche in psicologia, come in tutte le scienze, per il lavoro di ricerca occorre un corredo di conoscenze sufficientemente estese. Un po’ di patologia e di teoria delle nevrosi non bastano assolutamente in questo caso; questo tipo di conoscenze mediche consente unicamente d’essere informati su una malattia, ma ignora tutto dell’anima che è malata. Con questo libro – allora come oggi – ho voluto, per quanto era in mio potere, ovviare a questo inconveniente.”

Jung, Carl Gustav, Simboli della trasformazione, Bollati Boringhieri.

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Recensione: “Ricordi, sogni, riflessioni” di C. G. Jung

Recensione: “Ricordi, sogni, riflessioni” di C. G. Jung

Ricordi, Sogni, Riflessioni di Carl Gustav Jung è un libro che offre una profonda e personale introspezione sulla vita dell’autore e sulla sua comprensione della psicologia umana. Jung, noto come uno dei più importanti psicoanalisti della storia, ci guida attraverso i momenti salienti della sua vita, dai sogni infantili ai viaggi nel deserto, alle conversazioni con Freud e alla scoperta dell’inconscio collettivo. La scrittura è fluida e coinvolgente, e la profondità delle riflessioni di Jung è sorprendente. Si ha l’impressione di essere seduti accanto a lui mentre rivela i dettagli della sua vita e delle sue teorie. Il libro offre una panoramica approfondita delle teorie di Jung sulla psicologia, ma anche una finestra sulla sua personalità e sulle sue esperienze. Ricordi, Sogni, Riflessioni è un libro che può essere apprezzato sia dai professionisti della psicologia che dai lettori curiosi di conoscere la vita di Jung e le sue teorie. Inoltre, la sua prosa elegante e la sua capacità di coinvolgere il lettore rendono questo libro accessibile anche ai non addetti ai lavori.

Per noi de La Voce delle Muse, amanti di Mitologia, e che dalla mitologia traggono spunto per un approfondimento della comprensione della nostra vita personale e dei meccanismi della psiche umana, il libro è interessante per diversi motivi. In primo luogo, Jung è stato un noto psicologo e psicoanalista che ha dedicato gran parte della sua vita allo studio delle religioni, delle mitologie e dei simboli. Nel suo lavoro, ha sviluppato molte teorie sulla psicologia dell’inconscio e ha mostrato come i miti e i simboli siano importanti per comprendere la psiche umana. Anche Joseph Campbell (di cui abbiamo parlato qui) ha basato molto del suo lavoro sull’opera scientifica di Jung.

In Ricordi, Sogni, Riflessioni, Jung presenta una raccolta di ricordi, sogni e riflessioni che ha scritto durante la sua vita. Questo libro contiene molte discussioni sulla sua vita personale, ma anche sui suoi studi sulla psicologia e sulla mitologia. Jung utilizza molti esempi tratti dalle mitologie e dalle religioni di tutto il mondo per illustrare i suoi punti di vista sulla psiche umana. Inoltre, il libro contiene molte discussioni sul processo di individuazione, che è uno dei concetti centrali della psicologia di Jung. Questo processo si riferisce alla ricerca di una persona per trovare il proprio sé più profondo e autentico. Esattamente come ci piace pensare di fare anche noi Muse! In molti casi, questo processo richiede di esplorare le profondità dell’inconscio e di confrontarsi con i propri simboli e miti personali. Jung sostiene che attraverso questo processo, una persona può diventare una persona più completa e realizzata. Si tratta quindi di un libro importante per gli amanti della mitologia perché offre una prospettiva unica sulla psicologia umana, utilizzando molte storie e simboli mitologici come esempi.

Carl Gustav Jung, celebre psicanalista svizzero (ma anche psichiatra, antropologo e filosofo) ha scritto questo libro insieme ad Aniela Jaffé (che fu sua allieva, paziente e collaboratrice), edito per la prima volta nel 1961, anno della morte dello psicanalista, su sua dichiarata richiesta il volume doveva apparire solo dopo la sua scomparsa. Non sentitevi bloccati dalla lettura che si potrebbe immaginare complicata: il libro è molto ricco ma si legge con facilità e piacere.  L’impegno che richiede è di gran lunga ricompensato dalla ricchezza che offre in cambio.  Jung, in questo libro, si racconta partendo dall’infanzia, che sicuramente non può dirsi convenzionale, sembra infatti che egli, fin dall’infanzia, sentisse una chiamata verso qualcosa di grande, verso un contatto con una spiritualità lontana dai dogmi della chiesa; racconta l’attrazione verso la conoscenza, l’autenticità, il mistero. Ci narra dei piccoli rituali che svolgeva, dando un’interpretazione dei suoi gesti sempre molto precisa, in maniera tanto esatta e scorrevole da sembrare univoca, ovvia, non passibile di opposizione. Jung sembra vedere costantemente oltre i simboli, oltre i comportamenti, non ricercando tanto le cause ma mettendo a fuoco i significati. Interessanti sono anche i sogni che vengono raccontati nel libro, in cui egli osserva sempre i collegamenti con la sua vita e il suo destino, mai fermandosi alle prime superficiali conclusioni. Ecco, la parola che più si distanzia da questo libro è superficiale; quella più vicina, direi, è chiarezza. Il volume è stato definito dallo stesso Jung come una forma di autoanalisi, e si inserisce, dal punto di vista del lettore, nella macro area dei testi di auto-terapia. Questo, però, è più di un libro, è un viaggio, un’esperienza dentro una vita straordinaria, non in senso strettamente lusinghiero ma nell’accezione di essere nettamente fuori dall’ordinario, dalla banalità, dall’omologazione.

Jung, Carl Gustav, Ricordi, sogni, riflessioni. A cura di Aniela Jaffé, Rizzoli. 

Qui trovate una ricchissima intervista a Jung, pochi mesi prima della sua morte e ritradotta nel 2023 da Andreas Barella e pubblicata sul suo canale YouTube. Lì trovate anche altri video su Carl Gustav Jung. Curiosate un po’ in giro! 🙂 ISCRIVETEVI AL CANALE! (Basta cliccare sul rotondino con la faccia di Andreas in alto a sinistra, in seguito su “iscriviti”) GRAZIE MILLE! 

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Recensione: “La Dea Bianca” di Robert Graves

Recensione: “La Dea Bianca” di Robert Graves

In occasione dei 30 anni dalla sua uscita, ripubblichiamo questa recensione a La Dea Bianca di Robert Graves, scritta da Pietro Citati e che abbiamo scovato nel ricco archivio de La Repubblica.
Breve Biografia di Pietro Citati
Una selezione di libri scritti da Pietro Citati
Il libro di Citati che La Voce delle Muse ama di più: La mente colorata, incentrato sull’Odissea
La nostra recensione a La mente colorata

 

TU REGINA DELLE TENEBRELa dea bianca di Robert Graves è il più singolare libro sulla mitologia che abbia mai letto (Adelphi, traduzione di Alberto Pelissero, lo potete acquistare qua). Robert Graves è una natura molto curiosa: sembra uno di quegli eruditi secenteschi, prodigiosi dilettanti, che dominavano venti lingue e quindici discipline: possiede una immensa biblioteca mentale, una meravigliosa memoria; ed è fantastico, estroso, dispettoso, folle come un elfo e un poeta irlandese. Ma il libro che ha scritto in molti anni di vita è più singolare di lui. Ho sempre creduto che i grandi libri sulla mitologia siano, essi stessi, dei libri mitologici: ereditano una grande tradizione mitica, la raccolgono, la interpretano; e la continuano, facendo echeggiare di nuovo tra noi quei miti, avvolgendoci nella loro melodia, contagiandoci coi loro suoni, come migliaia di anni fa o in quell’ istante miracoloso fuori dal tempo, in cui il mito per la prima volta esplose alla luce. Robert Graves ha portato questo principio sino in fondo. Con foga, con entusiasmo, con fantasia, con eccesso, talora con arbitrio mitologizza la mitologia: balza oltre la barriera che divide il vero e il falso; e il risultato è un libro straordinariamente ricco e vivo, che di colpo ci fa abitare vicino alla misteriosa Dea Bianca, a Eracle, alle sirene, alle mille divinità celtiche.

Secondo Graves, il carattere principale della mitologia è la fecondità. Un mito nasce, cresce, mette rami e foglie e frutti come gli alberi di una foresta tropicale: pullula e si moltiplica come gli arbusti di una macchia mediterranea: con una forza inarrestabile, accoglie in sé stesso altri miti, li abbraccia, li assorbe, li svuota, li trasforma in sé stesso; e continua a dilagare, fondendosi con tutte le altre invenzioni della fantasia collettiva, sino a generare un albero dalle infinite ramificazioni. La storia non incide su questa vicenda: essa, che sembra così forte, crudele e vittoriosa, non resiste al mito, che si impossessa qua di un evento là di una figura, e li identifica con i suoi rami. Non c’è nulla che Robert Graves prediliga più di queste metafore arboree. Con che amore ripete i nomi degli alberi e li descrive: la betulla, il frassino, il sorbo selvatico, l’ontano, il salice a rami rossi, il salice a foglie arrotondate, la quercia, il nocciolo, la vite, l’edera, il biancospino, il sambuco, l’abete d’ argento, il pioppo bianco, tutti sacri alla Dea Bianca. Da ogni parte fioriscono alfabeti arborei. Alle volte, potremmo leggere questo libro sulla mitologia come un libro sugli alberi, e sullo spirito degli alberi, e sull’ attenzione e sull’obbedienza che noi uomini dobbiamo portare alle loro parole.

Un fiuto da elfo – Come conosce una sola dea, così Graves conosce un solo principio interpretativo: l’analogia, che egli applica senza freno né limite. Niente può arrestare la dilatazione dell’onda analogica, che identifica dei e dee, fino a formare una sola mitologia europea, dal Mediterraneo all’ Europa del Nord all’ Irlanda. Graves procede da un mito all’altro con salti da capriolo: possiede una velocità mentale prodigiosa; e la sua gioia più grande è quando ritrova i Milesii in Irlanda o un dio irlandese in una piega dell’Antico Testamento. Noi, che lo leggiamo, veniamo talvolta assaliti da una specie di vertigine: ci sembra che tutte le distinzioni e le differenze e le antitesi su cui è fondata la nostra cultura si dissolvano all’ improvviso nell’aria, e non resti che una nuvola rossastra che cambia e si trasforma nel cielo. Questa caccia analogica insegue una meta. Nel profondo la mitologia è, per Graves, una scrittura cifrata, come quelle che affascinavano Poe. In ogni capitolo del suo libro, incontriamo una dottrina segreta, che i sacerdoti della Dea Bianca hanno mascherato o per amore dell’enigma, o per difendere la loro sapienza dagli assalti della cultura olimpica e cristiana. In apparenza, le chiavi del segreto si sono smarrite per sempre, nascoste tra i detriti della storia. Ma Graves è un grande appassionato di enigmi, di rebus e di scritture cifrate. Con la sua passione da erudito, con il suo fiuto da elfo, non ha pace fino a quando l’enigma non balza in piena luce. Forse il tranquillo amante dei miti vorrebbe che non tutto fosse spiegato, e l’ombra materna del segreto continuasse almeno in parte a proteggere il mondo silenzioso degli dèi e delle dee.

Non ho mai compreso le violentissime passioni culturali, che costringono le persone più acute a condividere con fanatismo una tradizione, e a rifiutarne un’altra, scegliendo l’Oriente contro l’Occidente o l’Occidente contro l’Oriente. La storia della cultura e della religione umana è così ricca, variegata e complessa, e ognuno dei suoi aspetti è così fecondo, che una persona dallo sguardo puro deve accettare tutto ciò che gli uomini hanno fantasticato e immaginato. Mi sembra deplorevole che Gottfried Benn abbia esecrato il mondo femminile egeo, per celebrare i Dori e Sparta. Ma non mi sembra meno deplorevole che Robert Graves esecri gli invasori indoeuropei, che nel secondo millennio avanti Cristo portarono in Grecia la loro civiltà virile, la religione olimpica e, quasi venti secoli dopo, il cristianesimo. Graves detesta soprattutto Apollo, con la stessa furia che potrebbe provare verso un ubriacone incontrato in un pub irlandese. “È probabile che il dio greco Apollo fosse in origine il demone di una confraternita del Topo nell’ Europa totemica pregreca, il quale fece carriera con la forza delle armi, con il ricatto e con la frode, sino a diventare patrono della musica, della poesia e delle arti”. I nemici di Apollo mi sono sempre sospetti. Non capiscono quella Luce esorbitante, che contiene in sé stessa tutta la profondità della tenebra: non capiscono la poesia epica e la tragedia; né la distanza, né la Legge, né la contemplazione, né la precisione della mente, né la pienezza della gioia.

Al contrario di Benn, Graves ama la civiltà del Mediterraneo orientale, che fioriva prima che arrivassero i greci: questo grembo religioso dell’umanità, questo fecondissimo mondo femminile, che adorava la Madre. Esso possedeva una estrema facoltà di irradiazione. Se, secondo Graves, i Greci stavano a casa, sotto le loro immobili statue di marmo e di gesso, le popolazioni pregreche, sconvolte dalle invasioni indoeuropee, attraversavano i mari e le terre, sciamavano per il Mediterraneo, costeggiavano le rive della Spagna e del Portogallo e della Francia, fino a raggiungere l’Inghilterra e l’Irlanda. Il grande bosco materno, che aveva ombreggiato le secche rive del Mediterraneo, tornava a rifiorire e a gettar rami, con le stesse credenze o credenze appena variate, tra le brume e le piogge dei paesi del Nord. Quello che rende così divertente il libro di Graves è la sua ottica. Parla di miti egiziani, o egei, o greci, o ebraici: ma non ne parla vivendo in mezzo a loro, condividendo lo sguardo degli egiziani e dei greci. Lui sta fuori: abita lontano, assieme ai Pelasgi, che le antiche navi avevano portato dal Mediterraneo in Irlanda. Tutta la mitologia universale è vista con occhi irlandesi: secondo la forma e il colore che ha assunto, quando è stata trasportata tra quei boschi. L’effetto è pittoresco e appassionato. Per una volta, Graves ha tutte le ragioni storiche dalla sua parte. All’inizio del Medioevo, l’Irlanda è stata un rifugio della cultura classica: Giovanni Scoto scriveva il più bel latino che sia mai stato scritto, e traduceva gli scritti greci dello Pseudo-Dionigi; mentre l’antica mitologia pagana continuava ad esservi tramandata quando veniva repressa nel resto dell’Europa cristiana. Gli eroi di Graves non sono gli omeridi, troppo compromessi con Apollo, e nemmeno i bardi anglosassoni: ma i menestrelli popolari del Galles e dell’Irlanda. Andavano di villaggio in villaggio, o di fattoria in fattoria, intrattenendo il pubblico sotto un albero o in un angolo del focolare: accompagnavano la recitazione dei poemi con mimica e capriole, come saltimbanchi; e se si avvicinavano ai castelli, i signori li bersagliavano con gli ossi dei loro arrosti, mentre i bardi sedevano a tavola accanto al re. I menestrelli cantavano: Sono l’acqua, sono un regolo, sono un lavoratore, sono una stella, sono un serpente, sono una cella, sono una fessura, sono un ricettacolo di canti. Oppure: Io sono un vento del mare, io sono un’onda del mare, io sono un suono del mare, io sono un grifone su una scogliera, io sono una lacrima del sole, io sono un cinghiale, io sono un salmone in una pozza, io sono una lancia che dà  battaglia, io sono un colle di poesia… Con la stessa passione di Yeats, Graves ama l’allegria, l’estro, il colore, il lunatico, l’orgiastico, la follia di questa tradizione popolare. Egli sa che i menestrelli, non i bardi, sono i veri cultori della sapienza: perché la loro allegria è solo un velo colorato che cela la conoscenza degli antichi misteri. I menestrelli sono, per Graves, un’incarnazione dei fairies, i folletti, che popolano il paesaggio irlandese come un campo pieno di formiche. Alti meno di un metro, con le giacche rosse o verdi, danzavano in cerchio alla luce della luna. Facevano capriole, piroette e inchini: così leggeri che nemmeno le gocce di rugiada, pur tremando sotto i loro piedi, erano disturbate dalle capriole; oppure giocavano forsennatamente a calcio, senza giacca né cappotto. Nell’ ebbrezza della danza e del gioco, ridevano a voce altissima e stridula, come uno stormo di gabbiani sulla scogliera dove passa la notte. Come i menestrelli, i fairies erano angeli decaduti. Mentre gli angeli più gravemente colpevoli vennero cacciati nell’inferno, essi peccarono più lievemente – forse per distrazione o per leggerezza, come dei ragazzi che hanno dimenticato il dogma della Trinità o hanno mancato di rispetto ai Santi. Così essi stavano a metà, né angeli né diavoli: insieme aerei e ctonii, intessuti di luce e di tenebra, come i demoni antichi. Mediavano tra l’alto e il basso: tra la terra e il cielo più alto, dove abitano gli angeli; tra i crepacci superficiali e gli abissi più profondi, dove abitano le creature del male. Da questa condizione intermedia, i fairies derivavano la loro illimitata capacità di trasformazione. Mentre il bene e il male non cambiano volto, i folletti assumevano tutte le dimensioni, tutte le forme, tutti i corpi e i colori, perché il regno intermedio è il regno del movimento. Tutto questo movimento di desiderio e di nostalgia, che nasce nel cuore dei menestrelli, degli elfi e di Graves, si dirige verso il centro del libro: la Dea Bianca lunare.

Essa è la Signora delle creature selvagge, che frequenta le cime boscose dei colli: è la Madre della vita e della morte; è la Moira. Come Luna, è signora del cielo; come Diana, è signora della terra: come Persefone, regina dell’oltretomba; come Musa, dà l’ispirazione ai poeti. Mentre nella religione olimpica la figura femminile viene inseguita, la Dea Bianca è l’Inseguitrice e la Violentatrice. Se il maschio è lepre, lei è levriero: se lui è pesce, lei è lontra: se lui è uccello, lei è falcone; se il maschio è chicco di grano, lei è la gallina, nera, che lo inghiotte. Non ci può dunque meravigliare se la Dea Bianca ci appaia come una strega che uccide i bambini, o che riempie i nostri sogni di incubi, o come l’ape regina dal pungiglione assassino. Via via che la sua figura diventa più oscura e terrificante, una estasi voluttuosa, un desiderio di dissoluzione precipitano Graves verso l’abbraccio mortale. Con sempre nuovi colori e sfumature e parole e variazioni, Graves tenta di disegnare il ritratto della Dea Bianca. Il ritratto ci sfugge, perché nessuno più di lei si sottrae alla presa. Finché Graves afferma: la Dea Bianca è l’Iside di Apuleio – questa divinità unica, che si manifesta in ogni forma e in ogni nome. Dapprima la incontriamo nella sua forma nera: come strega e negromante, che trae giù il cielo, innalza la terra, impietra le fonti, liquefa le montagne, comanda agli Dei, spegne le stelle e il sole, illumina il Tartaro, fa rivivere i morti. Infine, la Dea si rivela. In una notte di plenilunio primaverile, il disco rotondo della luna emerge dai flutti del mare, scintillando di un abbagliante candore: il mare è quieto, il cielo senza nubi; e questa magica congiunzione tra l’umidità marina, la rugiada generatrice e i raggi lunari, è l’epifania prediletta di Iside. Mentre Lucio dorme, la dea gli appare in sogno, con i foltissimi capelli ondulati, una corona di fiori sul capo, la veste di lino cangiante, la sopravveste nerissima splendescens atro nitore e luccicante qua e là di stelle. Sappiamo che è la genitrice di tutte le cose, la signora della natura, l’inizio della storia: la madre dolcissima e misericordiosa, che aiuta e salva gli infelici; quella Madonna pagana, quella Regina coeli, quella Stella maris, che Gérard de Nerval inseguì invano per tutta la vita.

Notte di plenilunio – Non so se Iside sia veramente la Dea Bianca di Graves: dubito che la tenerezza materna, che attraeva tanto Nerval, affascinasse il suo spirito, che chiedeva agli dèi soltanto Venerazione e Terrore. È possibile che la Dea Bianca di Graves sia una dea molto più tarda: la Regina della Notte, che appare sulle scene del Flauto Magico di Mozart mentre i monti si spalancano sulla scena, o emerge all’ improvviso dall’abisso, tra il rombo furioso dei suoni. Certo, essa è ancora Iside: ha la stessa “nerissima sopravveste brillante di atro splendore” e luccicante di stelle; e conosce i dolori di Iside-Demetra, che percorre la terra coperta da un velo oscuro cercando le tracce della figlia scomparsa. Ma quando canta tra la tempesta dei suoni: Der Holle Rache kocht in meinem Herzen,Tod und Verzweiflung flammet um mich her!…… Hort, Rachegotter! Hort der Mutter Schwur! La vendetta dell’inferno arde nel mio cuore,morte e disperazione fiammeggiano intorno a me!…… Udite, dei della Vendetta! Udite il giuramento della madre!: allora essa diventa un’oscura Erinni, che lacera ogni legame della natura. Forse la Dea Bianca, che Graves ha inseguito attraverso tante incarnazioni e trasformazioni, è, nel profondo, una Regina della Tenebra.

PIETRO CITATI (pubblicato il 12 febbraio 1993 su La Repubblica: vai all’originale nell’archivio del quotidiano romano)

Graves, Robert.  1948.  La Dea Bianca.  Milano, Adelphi, 1992. 596 pagine, 20 Euro.

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Recensione: “Riflessioni sull’arte di vivere” di Joseph Campbell

Recensione: “Riflessioni sull’arte di vivere” di Joseph Campbell

Nel MitoBlog abbiamo cominciato a recensire alcuni libri scritti da Joseph Campbell e altri ancora ve li commenteremo nelle settimane-mesi a venire. In basso trovate un link a un post con qualche notizia bio-bibliografica su questo prolifico mitologo, studioso di mitologia comparata, antropologo, scrittore, ispiratore americano. Sempre in calce a questo post, trovate un altro link ai suoi libri: le sue idee sono pozzi di ispirazione spirituale e di comprensione di antiche leggende e miti e del loro valore psicologico e spirituale. Potete cliccare sui titoli evidenziati per andare alla nostra recensione. 

“Riflessioni sull’arte di vivere” non è propriamente un libro scritto da Campbell. In realtà si tratta di un volume compilato dalla poetessa Diane K. Osbon e basato sulle note raccolte durante un seminario tenuto in California da Joe Campbell nel 1984 sulle più antiche mitologie d’Oriente e d’Occidente. Il libretto (piccino e breve, quindi perfetto per un’introduzione al pensiero di Campbell) è scritto in tono colloquiale, proprio in quanto è la trascrizione-adattamento di una serie di lezioni. Ciò nonostante, racchiude alcune delle più illuminanti intuizioni dello studioso americano sui dilemmi che da sempre assillano gli esseri umani: la sfida quotidiana del vivere, il processo e lo sforzo per raggiungere la consapevolezza, l’arte di accostarsi al sacro.

In un libro che ha la profondità e la grazia di una guida spirituale, Campbell ci racconta i miti che, in una trama sottile, legano assieme le religioni sparse sulla terra e che nel corso dei secoli hanno guidato il “Viaggio dell’Eroe” alla ricerca del gioiello, del Graal, del luogo sacro che ogni individuo deve trovare e custodire dentro di sé. “Uno spazio sacro, un momento sacro e qualcosa di gioiosa da fare sono tutto quello di cui abbiamo bisogno”.

Purtroppo, come troppo spesso abbiamo dovuto scrivere alla fine delle nostre recensioni, anche questo volume è fuori catalogo, ma lo si trova spesso sulle bancarelle o nelle librerie di seconda mano. O anche usato sui siti librari. Buona ricerca! Speriamo che presto qualche casa editrice lo ripubblichi!

Chi è Joseph Cambell
Qui una lista delle maggiori pubblicazioni di Joseph Campbell.

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