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“FRAMMENTI DI TELEGONIA” – IL VIDEO

“FRAMMENTI DI TELEGONIA” – IL VIDEO

È appena uscito il secondo volume nella sterminata epopea che ha come protagonista TELEGONO, il filgio di Odisseo e della Maga Circe. In occasione dell’uscita, Andreas Barella, una delle Mue de LA VOCE DELLE MUSE, nonché curatore dei due volumi, ha preparato una recensione video sul suo canale MITO E PSICHE. La trovate qua sotto, subito dopo un estratto dalll’introduzione.

DALLA PREFAZIONE AL SECONDO VOLUME: “La mitologia classica nasce nella tradizione orale: per secoli i miti greci furono recitati da aedi e rapsodi durante feste religiose, celebrazioni pubbliche o occasioni conviviali presso ricchi aristocratici. L’aedo era colui che cantava l’epica e la univa a versi creati da lui stesso. Il rapsodo era invece una sorta di attore, recitava i brani che conosceva a memoria: da questa figura si è presumibilmente sviluppato il teatro. Omero, in realtà non menziona mai la differenza tra aedo e rapsodo, tra poeta e attore, tra chi crea e chi racconta. Quel che è certo è che esistevano scuole e corporazioni di narratori e che proprio a Chio, dove i quaderni da cui i miti pubblicati in questa collana sono tratti, aveva sede una famosa scuola. Può darsi che l’Anonimo autore di questi testi si sia trasferito sull’isola proprio in quanto alla ricerca dell’origine della narrazione orale e per ordinare il materiale raccolto in anni di esplorazioni del territorio, insulare e non. L’Anonimo ha quindi intrapreso un lavoro simile a quello di Omero, vale a dire la trascrizione, la trasformazione di un racconto prevalentemente orale in un testo scritto. La differenza maggiore è che i quaderni compilati dall’Anonimo sono delle antologie di spezzoni di miti, dei canovacci da combinare in un racconto più esteso o più breve, a discrezione del narratore. Non sono fatti per essere letti, sono dei compendi da studiare e da combinare in esposizioni sempre diverse. Spesso è necessario cucire i vari capitoli con delle frasi create ad hoc, in quanto nel testo non esistono e si passa da un episodio all’altro senza particolari spiegazioni. Questa libertà nella scelta degli episodi da narrare e del materiale connettivo che è necessario plasmare per dare unità è sia gradevole che fonte di frustrazione per la forzata necessità di dover scegliere cosa narrare e cosa no, quali personaggi tralasciare completamente per delimitare la storia a un racconto più o meno lineare e non infinito e labirintico. Spesso bisogna troncare una strada traversa che incrocia il tessuto principale della narrazione, anche se i risvolti e i personaggi che si decide di lasciare (per ora) nei quaderni dell’Anonimo gridano vendetta al cielo e attendono il loro turno per essere riportati in vita.

Prendere queste decisioni è stato, come detto, difficile ma ci siamo consolati con le parole di Friedrich Wilhelm Radloff che nel 1866 scriveva: “Ogni cantore appena appena abile improvvisa sempre i suoi canti secondo l’ispirazione del momento, così che non è in condizione di recitare due volte un canto in modo perfettamente uguale. […] Egli essendosi esercitato a lungo nella performance ne ha pronte, se così posso dire, un’intera serie di parti, che nel corso del racconto mette insieme nella maniera più adatta. […] L’arte del cantore consiste nel mettere in successione queste parti come è richiesto dal corso degli avvenimenti e nel collegarle con versi composti ex novo. Il cantore sa cantare queste parti in modo assai diverso. Egli è capace di tratteggiare la stessa immagine in pochi tratti veloci o di descriverla più ampiamente o di procedere con epica ampiezza a una descrizione molto dettagliata. […] Un cantore abile può improvvisare su qualsiasi tema, qualsiasi racconto, se gli è chiaro l’andamento della vicenda”. È quello che abbiamo cercato di fare anche noi, con tutti i limiti e le scelte arbitrarie che a volte turbano il nostro sonno. È anche per questo motivo che abbiamo bisogno di voi, care Lettrici e cari Lettori: fateci sapere quali sono i personaggi e i filoni narrativi che volete siano approfonditi. Sarà nostra premura, se nel corpus lasciatoci dall’Anonimo ve ne è traccia, accontentarvi con le storie che più vi appassionano.” (COPYRIGHT ©2023 CASA EDITRICE ERICLEA e ANDREAS BARELLA. Questo testo può essere utilizzato solo citando la fonte e l’autore.)

BUONA VISIONE! ISCRIVETEVI AL CANALE SE NON L’AVETE GIÀ FATTO e mettete MI PIACE al video.

Il primo volume (cartaceo ed ebook) è acquistabile qui.
Il secondo volume è acquistabile qui.

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Telegono, il figlio della Maga Circe

Telegono, il figlio della Maga Circe

La presentazione del volume Frammenti di Telegonia è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 14: Circe – La seduzione e la magia.

Care amiche, cari amici, a conclusione dei post su Circe, siamo molto felici di presentarvi il primo volume nella collana ANONIMO DI CHIO della Casa Editrice Ericlea, che parla proprio del figlio che la Maga Circe ha avuto assieme a Odisseo, che tanto spazio ha nella profezia sul futuro del re di Itaca, profezia pronunciata da Tiresia nell’Ade (vedi qui, se non ricordi l’episodio).

Lasciamo la parola al curatore della collana, il Dr. phil. I Andreas Barella, che ci presenta la genesi di questo progetto. Ringraziamo la Casa Editrice per il permesso di pubblicare l’estratto.

DALLA PREFAZIONE AL VOLUME: “Nella primavera di un paio di anni fa partii in vacanza con un amico. Si trattava di un viaggio di svago per ridonare linfa a un’amicizia da troppo tempo negletta. Ma era anche un viaggio di studio, di ricerca di immagini e atmosfere mitologiche. La meta era il Mar Egeo e le sue isole, soprattutto quelle orientali al confine con la Turchia. La scoperta dei quaderni all’origine di questo libretto è avvenuta grazie a un incontro fortuito sull’isola di Chio, la supposta terra natale di Omero. Una anziana signora ci ospitò nella sua casa dopo che eravamo stati colti dalla notte nell’entroterra durante una gita fra i monasteri che punteggiavano le colline. In gioventù la donna era emigrata in Inghilterra e parlava un po’ di inglese. Morto il marito era tornata sulla sua isola, nell’antica casa di famiglia dove ci ospitava con squisita gentilezza e generosità.

Ci mostrammo appassionati di mitologia. Colpita dal nostro amore per Omero ci narrò di un curioso personaggio di cui le parlava la nonna. Un viaggiatore, forse inglese forse prussiano, che sua nonna chiamava in turco Deli Amca, “il vecchio pazzo” e che proprio in quella casa aveva vissuto e dove, dopo lunghi incontri con anziani narratori dell’isola e della terraferma vicina, aveva riempito una serie impressionante di quaderni. Incuriositi le chiedemmo di cosa parlassero. Lei ci rispose che si trattava di storie che il vecchio raccontava la sera a sua nonna e a sua madre bambina, accompagnandole con la lira. Chiedemmo che fine avessero fatto quaderni e strumento e lei allargò le braccia, rispose che non sapeva se esistessero ancora. Da bambina ricordava di averli visti accantonati su vecchi scaffali in una piccola stanza abbandonata.

La mattina dopo andammo a cercarli. La camera del vecchio c’era ancora: nessuna traccia della lira ma il locale era pieno di quaderni di pessima qualità, ingialliti. Alcuni in buono stato, altri rovinati dall’umidità del contatto con i muri, altri si intravvedevano sotto un sottile strato di intonaco, utilizzati chissà quando e da chissà chi per isolare la parete meno esposta al sole, altri ancora erano stipati in due valige di pelle che dovemmo forzare in quanto le cerniere erano talmente arrugginite da impedire l’apertura. Anche se parziale, si trattava pur sempre di una scoperta straordinaria: 108 quaderni di 96 pagine ciascuno (82 in buone condizioni, 16 ricuperabili, 10 in stato pessimo) e il ricordo della nostra squisita ospite di almeno altrettanti fascicoli finiti chissà dove e che stiamo tentando di rintracciare.

Nei tomi scritti in esametri in greco antico, con ampi inserti in greco moderno e in turco, con note marginali in inglese, in tedesco e in francese, vergati con una calligrafia minuta e precisa, centinaia di episodi mitologici collegati uno all’altro da migliaia di rimandi numerici specifici (inseriti a margine nella forma: n° volume, n° pagina) ad altri episodi in una rete infinita di possibilità di narrazione.

Chi era questo Pseudo-Omero, Deli Amca, il vecchio pazzo o, come lo abbiamo chiamato in copertina, questo Anonimo di Chio? Per ora possiamo solo fare supposizioni. La nostra idea è che si trattasse di un erudito appassionato di mitologia che, forse a seguito della scoperta delle rovine di Troia e di Micene da parte di Heinrich Schliemann negli anni 70 del 1800, si fosse trasferito in Grecia e abbia appreso (da chi? dove?) a narrare oralmente le storie in seguito raccolte nei quaderni. Il vecchio si era forse ritirato a Chio per mettere in forma scritta i racconti uditi nel suo peregrinare. Filologi e mitologi stanno, con meraviglia, approfondendo lo studio dei fascicoli. Una versione critica vedrà verosimilmente la luce nei prossimi anni. I manoscritti sono a disposizione, presso la casa editrice, degli esperti interessati.

Non volevamo però attendere così a lungo per presentare queste storie. Quella che pubblichiamo nelle prossime pagine, senza nessuna velleità filologica, è una libera traduzione e arrangiamento di alcuni frammenti di una vicenda appassionante e che ha come protagonista Telegono, il “nato lontano da casa”, il figlio di Odisseo e della maga Circe. Le sue vicende sono pescate un po’ qua e un po’ là nei quaderni, distillate e senza rinvii ad altre storie. Nei manoscritti vi sono circa 200 rimandi che collegano la storia di Telegono a vicende note e meno note del corpus mitologico classico. A volte abbiamo dovuto scegliere una versione a scapito di una o due altre, in alcune occasioni le indichiamo alla fine del capitolo corrispondente; non sempre però, in modo da non appesantire la lettura. Si tratta, appunto, di frammenti. Come di frammenti si parla quando si cita la Telegonia di Eugammone di Cirene, composta nel sesto secolo avanti Cristo: che il nostro cantore abbia utilizzato la narrazione perduta di questa opera? Anche questo è un mistero che attende risposta.

Un’ultima considerazione: abbiamo deciso per una traduzione in prosa per rendere maggiormente accessibile il testo, cercando di mantenere il ritmo e lo stile poetico dei quaderni. Ci siamo imbattuti in diverse contraddizioni che lasciamo ai lettori individuare, come in una specie di caccia al tesoro: si tratta principalmente di differenze negli appellativi degli dèi e dei protagonisti, dovuti a fonti diverse che poi durante la narrazione orale venivano presumibilmente adeguati dal narratore, ma che nei quaderni presentano incongruenze anche notevoli. Un esempio è l’appellativo di Telegono, che viene chiamato “giovane” in episodi verso la fine delle sue avventure. Abbiamo però deciso di mantenere queste contraddizioni in quanto proprie del racconto orale. In futuro (maggiori dettagli nelle note tra i capitoli e alla fine del volume) presenteremo anche altri racconti e cicli narrativi contenuti in questo meraviglioso regalo che il Destino, o la Musa, ci ha voluto destinare.” (COPYRIGHT ©2019 CASA EDITRICE ERICLEA e ANDREAS BARELLA. Questo testo può essere utilizzato solo citando la fonte e l’autore.)

Il volume è acquistabile qui.
La recensione del volume di Ludovico Baù.
Il sito della Casa Editrice Ericlea.
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Recensione a Frammenti di Telegonia dell’Anonimo di Chio

Recensione a Frammenti di Telegonia dell’Anonimo di Chio

La recensione del volume Frammenti di Telegonia è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 6: Ulisse – Il viaggio della ragione.

Prima di leggere qui, se non l’hai ancora fatto, vai alla presentazione del volume Frammenti di Telegonia, che racconta la storia del figlio di Odisseo e della Maga Circe.

La pagina facebook MITOLOGIA IN PILLOLE (iscrivetevi, ne vale la pena!) ha recensito i Frammenti di Telegonia. Grazie mille a Ludovico Baù per questo scritto! 🙂

“Il più grande dispiacere per un amante della mitologia è immaginare i numerosi racconti perduti nel corso della storia, miti che non sono sopravvissuti all’inesorabile scorrere del tempo e giacciono nel dimenticatoio. Da ciò ne deriva che la gioia più grande viene dal ritrovamento di testi mitici pensati perduti per sempre, questo è ciò di cui oggi parlerò in questa sede.
La figura di Telegono, figlio di Odisseo e della Maga Circe, ci è nota attraverso il ricordo della Telegonia di Eugammone di Cirene (VI sec. a. C.) andata persa.
La tragica storia di questo eroe sarebbe rimasta nell’oblio se non fossero stati rinvenuti dei fascicoli ottocenteschi attribuiti a un “Anonimo di Chio” dove si racconta, attraverso il linguaggio epico, di Telegono e dei personaggi a lui strettamente collegati come l’amico Elato e la sacerdotessa delle Esperidi Talia.
Il testo che la casa editrice Ericlea propone è scritto in forma di frammenti i quali riprendono gli avvenimenti più importanti del mito di cui Telegono è protagonista. Non intendiamo soffermarci eccessivamente sulla trama poiché questa è la tipica storia che per essere apprezzata a pieno va scoperta, un riassunto diminuirebbe il piacere della lettura. Abbiamo deciso quindi di mettere in evidenza i topos del mito che sono: Il grande VIAGGIO attraverso le isole della Grecia, l’AMICIZIA come legame che non può essere sciolto da nessun male, la PAURA della morte che attanaglia ogni essere mortale e la RICERCA (non vi diciamo di cosa). Questo libro mi ha fatto provare le stesse sensazioni di quando, quasi per gioco, mi misi a leggere l’Odissea anni addietro: il testo è riuscito a riportarmi in un’ passato arcaico e magico dove uomini e dei camminavano sulla terra e condividevano piaceri e dolori, anche se per poco tempo quei piaceri e dolori li ho provati anche io. Vi è una tragicità unica in questa narrazione per quanto riguarda il panorama greco che ho ritrovato solo nell’antica epopea sumera di Gilgamesh. Ho molto apprezzato la lettura di “FRAMMENTI DI TELEGONIA” e spero che questa recensione faccia nascere in voi la curiosità di avventurarvi tra le sue pagine. Avere per le mani un racconto pensato perduto fino a poco tempo fa non è cosa da tutti i giorni e vi assicuro che suscita forti emozioni. Se deciderete di leggere il testo e vorrete condividere le vostre riflessioni, i ragionamenti e le impressioni nei commenti ne saremmo molto felici.” (
Copyright Ludovico Baù e pagina fb Mitologia in pillole). 

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Telegono, il figlio di Odisseo e della Maga Circe

Telegono, il figlio di Odisseo e della Maga Circe

Frammenti di Telegonia, Andreas Barella, Anonimo di Chio, Casa Editrice EricleaLa presentazione del volume Frammenti di Telegonia è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 6: Ulisse – Il viaggio della ragione.

Care amiche, cari amici, a conclusione dei post su Odisseo, siamo molto felici di presentarvi il primo volume nella collana ANONIMO DI CHIO della Casa Editrice Ericlea, che parla proprio del figlio che Odisseo ha avuto assieme alla Maga Circe e che tanto spazio ha nella profezia sul futuro del re di Itaca, profezia pronunciata da Tiresia nell’Ade (vedi qui, se non ricordi l’episodio).

Lasciamo la parola al curatore della collana, il Dr. phil. I Andreas Barella, che ci presenta la genesi di questo progetto. Ringraziamo la Casa Editrice per il permesso di pubblicare l’estratto.

DALLA PREFAZIONE AL VOLUME: “Nella primavera di un paio di anni fa partii in vacanza con un amico. Si trattava di un viaggio di svago per ridonare linfa a un’amicizia da troppo tempo negletta. Ma era anche un viaggio di studio, di ricerca di immagini e atmosfere mitologiche. La meta era il Mar Egeo e le sue isole, soprattutto quelle orientali al confine con la Turchia. La scoperta dei quaderni all’origine di questo libretto è avvenuta grazie a un incontro fortuito sull’isola di Chio, la supposta terra natale di Omero. Una anziana signora ci ospitò nella sua casa dopo che eravamo stati colti dalla notte nell’entroterra durante una gita fra i monasteri che punteggiavano le colline. In gioventù la donna era emigrata in Inghilterra e parlava un po’ di inglese. Morto il marito era tornata sulla sua isola, nell’antica casa di famiglia dove ci ospitava con squisita gentilezza e generosità.

Ci mostrammo appassionati di mitologia. Colpita dal nostro amore per Omero ci narrò di un curioso personaggio di cui le parlava la nonna. Un viaggiatore, forse inglese forse prussiano, che sua nonna chiamava in turco Deli Amca, “il vecchio pazzo” e che proprio in quella casa aveva vissuto e dove, dopo lunghi incontri con anziani narratori dell’isola e della terraferma vicina, aveva riempito una serie impressionante di quaderni. Incuriositi le chiedemmo di cosa parlassero. Lei ci rispose che si trattava di storie che il vecchio raccontava la sera a sua nonna e a sua madre bambina, accompagnandole con la lira. Chiedemmo che fine avessero fatto quaderni e strumento e lei allargò le braccia, rispose che non sapeva se esistessero ancora. Da bambina ricordava di averli visti accantonati su vecchi scaffali in una piccola stanza abbandonata.

La mattina dopo andammo a cercarli. La camera del vecchio c’era ancora: nessuna traccia della lira ma il locale era pieno di quaderni di pessima qualità, ingialliti. Alcuni in buono stato, altri rovinati dall’umidità del contatto con i muri, altri si intravvedevano sotto un sottile strato di intonaco, utilizzati chissà quando e da chissà chi per isolare la parete meno esposta al sole, altri ancora erano stipati in due valige di pelle che dovemmo forzare in quanto le cerniere erano talmente arrugginite da impedire l’apertura. Anche se parziale, si trattava pur sempre di una scoperta straordinaria: 108 quaderni di 96 pagine ciascuno (82 in buone condizioni, 16 ricuperabili, 10 in stato pessimo) e il ricordo della nostra squisita ospite di almeno altrettanti fascicoli finiti chissà dove e che stiamo tentando di rintracciare.

Nei tomi scritti in esametri in greco antico, con ampi inserti in greco moderno e in turco, con note marginali in inglese, in tedesco e in francese, vergati con una calligrafia minuta e precisa, centinaia di episodi mitologici collegati uno all’altro da migliaia di rimandi numerici specifici (inseriti a margine nella forma: n° volume, n° pagina) ad altri episodi in una rete infinita di possibilità di narrazione.

Chi era questo Pseudo-Omero, Deli Amca, il vecchio pazzo o, come lo abbiamo chiamato in copertina, questo Anonimo di Chio? Per ora possiamo solo fare supposizioni. La nostra idea è che si trattasse di un erudito appassionato di mitologia che, forse a seguito della scoperta delle rovine di Troia e di Micene da parte di Heinrich Schliemann negli anni 70 del 1800, si fosse trasferito in Grecia e abbia appreso (da chi? dove?) a narrare oralmente le storie in seguito raccolte nei quaderni. Il vecchio si era forse ritirato a Chio per mettere in forma scritta i racconti uditi nel suo peregrinare. Filologi e mitologi stanno, con meraviglia, approfondendo lo studio dei fascicoli. Una versione critica vedrà verosimilmente la luce nei prossimi anni. I manoscritti sono a disposizione, presso la casa editrice, degli esperti interessati.

Non volevamo però attendere così a lungo per presentare queste storie. Quella che pubblichiamo nelle prossime pagine, senza nessuna velleità filologica, è una libera traduzione e arrangiamento di alcuni frammenti di una vicenda appassionante e che ha come protagonista Telegono, il “nato lontano da casa”, il figlio di Odisseo e della maga Circe. Le sue vicende sono pescate un po’ qua e un po’ là nei quaderni, distillate e senza rinvii ad altre storie. Nei manoscritti vi sono circa 200 rimandi che collegano la storia di Telegono a vicende note e meno note del corpus mitologico classico. A volte abbiamo dovuto scegliere una versione a scapito di una o due altre, in alcune occasioni le indichiamo alla fine del capitolo corrispondente; non sempre però, in modo da non appesantire la lettura. Si tratta, appunto, di frammenti. Come di frammenti si parla quando si cita la Telegonia di Eugammone di Cirene, composta nel sesto secolo avanti Cristo: che il nostro cantore abbia utilizzato la narrazione perduta di questa opera? Anche questo è un mistero che attende risposta.

Un’ultima considerazione: abbiamo deciso per una traduzione in prosa per rendere maggiormente accessibile il testo, cercando di mantenere il ritmo e lo stile poetico dei quaderni. Ci siamo imbattuti in diverse contraddizioni che lasciamo ai lettori individuare, come in una specie di caccia al tesoro: si tratta principalmente di differenze negli appellativi degli dèi e dei protagonisti, dovuti a fonti diverse che poi durante la narrazione orale venivano presumibilmente adeguati dal narratore, ma che nei quaderni presentano incongruenze anche notevoli. Un esempio è l’appellativo di Telegono, che viene chiamato “giovane” in episodi verso la fine delle sue avventure. Abbiamo però deciso di mantenere queste contraddizioni in quanto proprie del racconto orale. In futuro (maggiori dettagli nelle note tra i capitoli e alla fine del volume) presenteremo anche altri racconti e cicli narrativi contenuti in questo meraviglioso regalo che il Destino, o la Musa, ci ha voluto destinare.” (COPYRIGHT ©2019 CASA EDITRICE ERICLEA e ANDREAS BARELLA. Questo testo può essere utilizzato solo citando la fonte e l’autore.)

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Odisseo torna a Itaca – Parte 2 (di 2)

Odisseo torna a Itaca – Parte 2 (di 2)

Il racconto del mito di Odisseo è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 6: Ulisse – Il viaggio della ragione.

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Odisseo torna a Itaca – Parte 1 (di 2).

II giorno seguente, nel corso di un altro banchetto, Agelao di Samo, uno dei pretendenti, chiese a Telemaco se non potesse indurre sua madre a prendere una decisione. Al che Penelope si dichiarò pronta ad accettare come marito chi sapesse emulare Odisseo in una gara di tiro all’arco: si trattava di scagliare una freccia negli anelli di dodici asce disposte in fila. Penelope mostrò loro l’arco che dovevano usare: donato da Ifito a Odisseo venticinque anni prima, quando egli si era recato a protestare a Messene per il furto di trecento pecore compiuto a Itaca dai Messeni, quell’arco era appartenuto un tempo a Eurito, padre di Ifito, che Apollo stesso istruì nell’arte di scoccare frecce, ma che fu poi vinto e ucciso da Eracle. Taluni dei pretendenti vollero saggiarne la potenza, ma non riuscirono neppure a tenderlo, pur avendone ammorbidito il legno con della sugna; si decise dunque di rimandare la prova al giorno seguente. Telemaco, che era quasi riuscito a tendere l’arco, lo depose di nuovo vedendo Odisseo corrugare la fronte. Odisseo allora, nonostante le proteste e gli insulti dei pretendenti (così volgari che Telemaco fu costretto a ordinare a Penelope di ritornare nelle sue stanze), si impadronì dell’arco e lo tese senza sforzo facendone vibrare melodiosamente la corda. Poi, presa accuratamente la mira, scoccò una freccia nei dodici anelli delle asce. Frattanto Telemaco, che era uscito in gran fretta dalla sala, rientrò armato di spada e di lancia e Odisseo si rivelò infine scoccando una seconda freccia che si conficcò nella gola di Antinoo.

I pretendenti balzarono in piedi e corsero verso le pareti per staccare le armi, ma si accorsero troppo tardi che le armi non c’erano più. Eurimaco invocò pietà e quando Odisseo rifiutò di concedergli la vita, strinse la spada e si lanciò contro di lui: ma una freccia gli trapassò il fegato ed egli cadde a terra rantolante. Un’aspra lotta divampò allora tra i pretendenti armati di spade e Odisseo armato soltanto dell’arco, ma piazzato dinanzi all’ingresso principale della sala. Telemaco corse di nuovo all’armeria e ne riportò scudi, elmi e lance per il padre suo e per Eumeo e Filezio, i due servi fedeli che lo spalleggiavano. Infatti benché Odisseo avesse abbattuto i suoi avversari a dozzine, la sua scorta di frecce era quasi esaurita. Melanteo, che era sgattaiolato nell’armeria da una porta secondaria per portare armi ai pretendenti, fu colto sul fatto al secondo tentativo e legato con solide corde. La strage frattanto continuava e Atena in veste di rondine svolazzò nella sala finché tutti i pretendenti giacquero morti, all’infuori di Medonte l’araldo e di Pernio l’aedo; Odisseo li risparmiò perché non gli avevano fatto direttamente alcun torto e le loro persone erano sacre. Si fermò poi per chiedere a Euriclea, che aveva chiuso le donne nelle loro stanze, quante ancelle erano rimaste fedeli alla sua causa. Ed Euriclea rispose: «Dodici soltanto si sono coperte di vergogna». Le ancelle colpevoli ricevettero l’ordine di lavare con spugne e acqua il pavimento della sala insozzato di sangue. Poi Odisseo le impiccò tutte in fila. Scalciarono un poco e tutto finì. Eumeo e Filezio mutilarono Melanteo delle sue estremità (naso, orecchie, mani, piedi e genitali) che furono gettate in pasto ai cani.

Odisseo, riunitosi finalmente alla moglie Penelope e al padre Laerte, raccontò loro le sue avventure, ma questa volta rispettò la verità. Si avvicinò frattanto un gruppo di itacesi ribelli, parenti di Antinoo e degli altri pretendenti; vedendo che Odisseo doveva affrontare un numero preponderante di avversari, il vecchio Laerte prese validamente parte alla lotta, e questa stava volgendo in favore di Odisseo allorché Atena intervenne e propose una tregua. I ribelli allora intentarono un’azione legale contro Odisseo, nominando loro giudice Neottolemo, re delle isole Epirotidi. Odisseo acconsentì ad accettare il verdetto e Neottolemo stabilì che egli lasciasse l’isola per altri dieci anni durante i quali gli eredi dei pretendenti avrebbero dovuto versare a Telemaco, ora re, un adeguato compenso per i danni subiti.

Rimaneva tuttavia Poseidone, che bisognava placare; e Odisseo partì a piedi, seguendo le istruzioni di Tiresia, con un remo sulla spalla. Quando raggiunse la Tesprozia, un contadino gli gridò: «Che fai, con un ventilabro sulla spalla in primavera?» Odisseo allora sacrificò un ariete, un toro e un cinghiale a Poseidone e fu perdonato. Poiché non gli era ancora concesso di tornare a Itaca sposò Callidice, regina dei Tesprozi, e guidò il suo esercito in una guerra contro i Brigidi, sotto la protezione di Ares; ma Apollo invocò una tregua. Nove anni dopo Polipete. figlio di Odisseo e di Callidice, successe al padre sul trono dei Tesprozi e Odisseo ritornò a Itaca dove Penelope regnava in nome del figlioletto Poliportide. Telemaco era stato esiliato a Cefallenia, poiché un oracolo aveva predetto: «Odisseo, sarai ucciso dal tuo stesso figlio!» A Itaca la morte venne a Odisseo dal mare, così come Tiresia aveva previsto. Telegono, il figlio che egli aveva avuto da Circe, salpato in cerca del padre, fece una scorreria a Itaca, credendo che fosse l’isola di Corcira, e Odisseo si preparò a respingere l’attacco. Telegono lo uccise sulla riva del mare e l’arma fatale fu una lancia che aveva per punta l’aculeo di una razza. Trascorso in esilio l’anno prescritto dalla legge, Telegono sposò Penelope. Telemaco sposò allora Circe e i due rami della famiglia si unirono così di più stretti legami.

Taluni negano che Penelope rimanesse fedele a Odisseo. L’accusano di essersi unita ad Anfinomo di Dulichio, oppure con ciascuno dei pretendenti a turno, e dicono che il frutto di questa unione fu il mostruoso dio Pan: al vederlo Odisseo sarebbe fuggito in Etolia per la vergogna, scacciando Penelope che ritornò dal padre suo Icario a Mantinea, dove ancor oggi si mostra la sua tomba. Altri affermano che Penelope generò Pan da Ermes e che Odisseo sposò una principessa etolica, la figlia del re Toante; ebbe da lei Leontofono, il più giovane dei suoi figli, e morì serenamente a tarda età.

Il mito di Odisseo, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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