Category Archives: Luoghi dell’Anima

Luoghi visitati, immaginati o sognati, che stimolano ricordi o collegamenti con la mitologia

Recensione a “La Sicilia degli dèi” di Giulio Guidorizzi e Silvia Romani

Recensione a “La Sicilia degli dèi” di Giulio Guidorizzi e Silvia Romani

La Sicilia degli dèi di Giulio Guidorizzi e Silvia Romani non è il primo volume che i due eminenti studiosi di mitologia scrivono a quattro mani: avevano già unito le forze e le conoscenze per In viaggio con gli dèi, libro dedicato alla Grecia e per Il mare degli dèi, guida alle isole elleniche. Tutti i volumi sono pubblicati da Raffaello Cortina.

Il libro è scritto a capitoli alternati, alcuni redatti da Guidorizzi e altri da Romani, mentre le ricche e fascinose illustrazioni con mappe commentate spesso con sagacia, oggetti e luoghi sono di Michele Tranquillini. Vi sono inoltre molte fotografie che mostrano i luoghi descritti. Insomma, una guida vera e propria. La differenza sta nei testi, che non si limitano a descrivere i luoghi ma, come nei precedenti volumi, li intessono in una ricca panoplia di suggestioni personali, fiabesche, mitologiche e storiche in modo da renderle meno asettiche e fattuali, arricchendole di visioni mitologiche e leggendarie. Per chi ama viaggiare sì con il corpo, ma anche con la psiche e la fantasia, immergendosi nella terra di Sicilia, ma anche nelle storie che l’ingegno umano ha raccontato per spiegare fenomeni naturali e crescita psicologica, il libro è uno stimolante punto di partenza. Interessante è, per in seguito approfondire, la presenza delle note che informano sulle fonti letterarie che i due Autori hanno utilizzato, così è molto semplice andare a leggere di prima mano, le fiabe italiane raccolte da Italo Calvino (Colapesce e le tre colonne che sostengono l’isola di Sicilia), l’Odissea e l’episodio del Ciclope, il mito della ninfa Aretusa (celebrato a Ortigia) e così via.

“L’Isola chiama a raggiungerla, come una sirena plasmata nella terra, nella pietra, nel mare. È così dal tempo degli Immortali: la Sicilia da sempre è la tappa finale di uno splendido Grand Tour, l’approdo, il rifugio di divinità ed eroi. E, una volta lì giunti, in molti hanno deciso di restare”. Il viaggio in cui ci guidano i due Autori inizia alle Eolie, passa per Scilla e Cariddi (il modo migliore per avvicinarsi all’isola è sempre ed ancora quello per terra di Calabria prima e stretto di Messina poi) e termina a Palermo, seguendo un percorso personale e fantasioso, tracciato da miti ma anche da accadimenti storici poco noti. Ci sono storie per tutti i gusti: allegre fiabe, drammi storici, epici confronti tra mostri ed eroi, misteriose esplorazioni sottomarine…

Romani e Guidorizzi non disdegnano neppure l’espressione delle loro particolari impressioni durante i loro viaggi, e anche questo dà un tocco personale alla lettura della guida. Eccone un piccolo esempio, dedicato ad Agrigento, alla Valle dei Templi. “Di primo mattino, seduti su una pietra a contemplare le colonne del tempio “dei Dioscuri”, si avverte forte il profumo di aranci, di limoni e il sentore amaro della mandorla che provengono da una piccola valle fra il tempio dei Dioscuri e quello di Vulcano dove si apre un vero e proprio paradiso terrestre, quello della Kolymbethra, la “piscina” che Terone aveva fatto costruire per portare acqua a tutta la città”.

Un libro consigliato, prima di un viaggio sulla più grande isola del Mediterraneo, ma anche durante la visita e, eventualmente, anche per compiere un viaggio solo immaginario. Il volume è così affascinante che permette di vedere i paesaggi anche solo con gli occhi dell’anima.

Giulio Guidorizzi, Silvia Romani, La Sicilia degli dèi. Una guida mitologica. Illustrazioni di Michele Tranquillini. Raffaello Cortina, 2022, 296 pagine. 20 €

Degli stessi Autori presso Raffaello Cortina: In viaggio con gli dèi. Guida mitologica alla Grecia e Il mare degli dèi. Guida mitologica alle isole della Grecia.

Per gli amanti della mitologia vi segnaliamo il magnifico libro di Giulio Guidorizzi, Il mito greco. Si tratta di due volumi (usciti per Mondadori nel 2009 e nel 2012) che noi vi consigliamo caldamente. Qui una lista di altri volumi di Guidorizzi sul mito greco. Qui invece una selezione della altrettanto ricca e sfaccettata produzione letteraria di Silvia Romani

Abbiamo già recensito diversi volumi scritti o curati da Silvia Romani. Le recensioni le trovate qui. Sono parecchi i post scritti da La Voce delle Muse che hanno a che fare con Giulio Guidorizzi: ecco la lista. Buona lettura!

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Geografia dell’Oltretomba

Geografia dell’Oltretomba

L’Oltretomba non è, nella concezione classica, il luogo in cui i giusti ricevono il premio delle loro virtù e i malvagi sono condannati a espiare le loro colpe; è, invece, la sede buia e nebbiosa in cui erano destinati a rimanere per sempre, in forma di semplici ombre, tutti i defunti. Il regno dei morti è immaginato talora ai confini del mondo, oltre l’oceano; più spesso è posto sotto la terra. Il suo ingresso è delimitato dall’Acheronte (fiume del dolore), in cui si versavano il Piriflegetonte (fiume del fuoco) e il Cocito (fiume del lamento), che si diramava dallo Stige (fiume dell’odio). È credenza diffusa che solo dopo aver ricevuto gli onori funebri l’anima del defunto potesse attraversare l’Acheronte e trovare finalmente pace. A traghettare le anime dei morti nell’Ade è il vecchio Caronte a bordo della sua imbarcazione: per pagargli il costo della traversata, ai morti veniva posto nella bocca un obolo: proprio in conseguenza di ciò, il nome di questa antica moneta greca ha assunto per noi il significato di “modesta offerta in denaro”. A guardia della porta dell’Ade era talora rappresentato Cerbero, mostruoso cane a tre teste. In altre versioni si narra che quando le ombre scendono al Tartaro, il cui ingresso principale si trova in un bosco di bianchi pioppi presso il fiume Oceano, ciascuna di esse è munita di una moneta, che i parenti le hanno posto sotto la lingua. Possono così pagare Caronte, il tristo nocchiero che guida la barca al di là dello Stige. Questo lugubre fiume delimita il Tartaro a occidente e ha come suoi tributari l’Acheronte, il Flegetonte, il Cocito, l’Averno e il Lete. Le ombre prive di denaro debbono attendere in eterno sulla riva, a meno che non riescano a sfuggire a Ermete, la loro guida, introducendosi nel Tartaro da un ingresso secondario, come Tenaro in Laconia o Aorno nella Tesprozia.

Un cane con tre teste (o con cinquanta teste, come altri sostengono), chiamato Cerbero, monta la guardia sulla sponda opposta dello Stige, pronto a divorare i viventi che tentino di introdursi laggiù, o le ombre che tentino di fuggire. Nella prima zona del Tartaro si trova la triste Prateria degli Asfodeli, dove le anime degli eroi vagano senza meta tra la turba dei morti meno illustri che svolazzano qua e là come pipistrelli, e dove soltanto Orione ha ancora cuore di cacciare ombre di daini. Ciascuna di loro preferirebbe vivere come servo di un umile contadino anziché soggiornare come sovrano nel Tartaro. Unico loro piacere è bere il sangue delle libagioni offerte dai vivi: poi si sentono ancora uomini, almeno in parte. Oltre questa prateria si trovano l’Erebo e il palazzo di Ade e di Persefone. Alla sinistra del palazzo, un bianco cipresso ombreggia la fonte di Lete, dove le ombre comuni si radunano per bere. Ma le ombre iniziate evitano quelle acque e preferiscono dissetarsi alla fonte della Memoria, ombreggiata da un pioppo bianco, e la cui acqua dà loro certi vantaggi sugli altri compagni di sventura. Lì accanto, le ombre appena scese nel Tartaro vengono giudicate da Minosse, Radamante ed Eaco, in un punto dove tre strade si incrociano. Radamante giudica gli asiatici ed Eaco gli europei; i casi più difficili vengono sottoposti a Minosse. Al termine di ogni giudizio le ombre vengono indirizzate lungo una delle tre strade: la prima conduce alla Prateria degli Asfodeli dove si riuniscono coloro che non furono né virtuosi né malvagi; la seconda al campo di punizione del Tartaro, destinata ai malvagi; la terza ai Campi Elisi destinati ai virtuosi.

I Campi Elisi, su cui impera Crono, si trovano presso il palazzo di Ade e il loro ingresso è accanto alla fonte della Memoria; essi sono un luogo di gioia dove splende perpetuo il giorno, non vi è mai gelo né cade la neve, ma si svolgono svaghi a suon di musica e le ombre che vi trovano possono rinascere e tornare sulla terra se ciò loro aggrada. Poco più oltre si trovano le Isole Beate, riservate a coloro che nacquero tre volte e ogni volta vissero virtuosamente. Taluni dicono che un’altra isola fortunata, chiamata Leuce, si trovi nel Mar Nero, di fronte alle foci del Danubio; essa è boscosa e ricca di selvaggina. Là albergano le ombre di Elena e di Achille e declamano versi di Omero agli eroi che presero parte agli eventi da lui celebrati. Nella concezione più antica l’anima (in greco psychè) era materialisticamente intesa come il respiro, il soffio vitale necessario a infondere energia nel corpo. Dopo la morte essa si trasferiva nell’Ade. Qui del corpo sopravviveva solo un’ombra inconsistente: quando Ulisse nella sua discesa agli Inferi tenta di abbracciare l’anima di sua madre, le sue braccia tornano a chiudersi vuote sul suo petto. Non vi sono scheletri o corpi in decomposizione; ma non v’è neppure speranza o consolazione. A diffondere la credenza in un aldilà caratterizzato da un sistema di premi e di castighi riservati ai defunti a seconda del comportamento da essi tenuto in vita furono, in epoca posteriore, soprattutto le dottrine mistiche e i movimenti misterici (per esempio l’orfismo, che prende nome dal suo mitico fondatore, Orfeo). Secondo alcune credenze, il soggiorno dell’anima nell’Ade era soltanto transitorio, poiché essa era destinata a reincarnarsi in altri esseri viventi (metempsicosi).

Ade significa “invisibile”. È il nome del dio, ma anche del regno dei morti. Il dio è noto anche come Plutone (il nome con cui poi fu venerato a Roma): dal greco plùtos (“ricchezza”), per le ricchezze che la terra serba nelle sue viscere, o forse per l’abbondanza di sudditi su cui egli aveva potere nell’oltretomba. Sua sposa era Persefone (la romana Proserpina), da lui rapita sulla Terra. Ade, che è orgoglioso e geloso delle proprie prerogative, sale raramente nel Mondo Superiore, e soltanto per sbrigare faccende urgenti o mosso da improvvisa brama lussuriosa. Un giorno abbacinò la Ninfa Minta con lo splendore del suo cocchio dorato trainato da quattro cavalli neri, e l’avrebbe sedotta senza difficoltà se la regina Persefone non fosse apparsa appena in tempo per trasformare Minta in un’erba menta dal dolce profumo. In un’altra occasione Ade tentò di violentare la Ninfa Leuce, che fu trasformata nel bianco pioppo presso la fontana della Memoria. Ade non permette ad alcuno dei suoi sudditi di fuggire, e pochi di coloro che visitano il Tartaro possono tornare vivi sulla terra per descriverlo. E ciò fa di Ade il più odiato di tutti gli dèi. Ade non sa che cosa accade nel Mondo Superiore o sull’Olimpo; gli giungono soltanto frammentarie notizie quando i mortali tendono la mano sopra la terra e lo invocano con giuramenti o maledizioni. Tra le cose a lui più care vi è un elmo che lo rende invisibile, dategli in segno di gratitudine dai Ciclopi quando egli consentì a liberarli per ordine di Zeus. Tutte le ricche gemme e i preziosi metalli celati sottoterra appartengono ad Ade, ma egli non ha possedimenti sopra la superficie terrestre, salvo certi oscuri templi in Grecia e, forse, una mandria di bestiame nell’isola Erizia; mandria che, secondo altri, apparterrebbe invece a Elio.

La regina Persefone sa essere benigna e misericordiosa. Essa è fedele ad Ade, ma non ha avuto figli da lui e gli preferisce la compagnia di Ecate, dea delle streghe. Zeus stesso onora Ecate tanto che non le tolse l’antica prerogativa di cui sempre godette: di poter concedere o negare ai mortali qualsiasi dono desiderato. Essa ha tre corpi e tre teste: di leone, di cane e di giumenta. Tisifone, Aletto e Megera, le Erinni o Furie, vivono nell’Erebo e sono più vecchie di Zeus e di tutti gli olimpici. Loro compito è ascoltare le lagnanze mosse dai mortali contro l’insolenza dei giovani nei riguardi dei vecchi, dei figli nei riguardi dei genitori, degli ospitanti nei riguardi degli ospiti e delle assemblee dei cittadini nei riguardi dei supplici, e di punire tali crimini inseguendo senza posa i colpevoli, di città in città, di regione in regione. Le Erinni sono vegliarde, anguicrinite, con teste di cane, corpi neri come il carbone, ali di pipistrello e occhi iniettati di sangue. Stringono nelle mani pungoli dalle punte di bronzo e le loro vittime muoiono in preda ai tormenti. Non conviene citare il loro nome nel corso di una conversazione; ecco perché di solito le si chiama Eumenidi, che significa «le gentili», e si parla di Ade come di Plutone o Pluto, cioè il “ricco”.

Alcune parti di questo post sono riassunte dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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“Società Matriarcali come Società di Pace” di Heide Goettner-Abendroth

“Società Matriarcali come Società di Pace” di Heide Goettner-Abendroth

Nella giornata della Festa delle Donne 2022 pubblichiamo una acuta e ricca esposizione di una visione matriarcale, che a La Voce delle Muse piace molto. In una società di questo tipo anche l’attuale guerra in Ucraina non sarebbe stata concepibile. Pace e Auguri alle nostre lettrici!

Introduzione – I risultati delle ricerche sviluppate nell’ambito dei Moderni Studi Matriarcali confutano l’ideologia della dominazione maschile universale e del patriarcato. I Moderni Studi Matriarcali sono interessati a indagare e a presentare società non patriarcali: quelle che sono esistite nel passato e quelle tuttora esistenti. Perché ancora oggi nel mondo esistono popolazioni indigene in Asia, Africa, nelle Americhe e in Oceania, che favoriscono culture tradizionali che presentano modelli matriarcali. Questi modelli non sono solo una mera inversione del patriarcato dove le donne governano – come comunemente si crede -: sono invece società fondate sull’uguaglianza di genere, e molte di esse sono completamente egualitarie. Sono società libere dalla dominazione, ma rese stabili da certe linee guida e da codici precisi. Uguaglianza, negli ambiti matriarcali, non significa semplicemente livellamento delle differenze. Le differenze naturali tra i generi e le generazioni sono rispettate e onorate, ma non implicano gerarchie come succede solitamente nelle società patriarcali. I diversi generi e le generazioni hanno il loro valore e la loro dignità e dipendono gli uni dagli altri tramite un sistema di attività complementari. Più precisamente, le società matriarcali sono società basate su un’uguaglianza complementare in cui la cura è molto importante nel creare l’equilibrio. Questo equilibrio si applica tra i generi, le generazioni, gli esseri umani e la natura: ciò crea un’attitudine verso la pace.

La struttura profonda delle Società Matriarcali – Sulla base di ricerche che prendono in considerazione culture diverse, ed esaminandole caso per caso, ho sintetizzato le strutture e le linee guida che regolano trasversalmente a tutti i livelli le società matriarcali. È così emersa la struttura profonda delle società matriarcali. Per rendere più chiara questa struttura introduco brevemente i modelli organizzativi matriarcali a livello sociale, economico, politico e culturale.

A livello economico le società matriarcali sono spesso società agricole, ma non esclusivamente. In base a un sistema che è identico a quello dei vincoli parentali e dei sistemi di matrimonio, i beni circolano come doni. Il vantaggio o lo svantaggio dei termini di acquisizione dei beni è mediato da linee guida sociali. Alle feste dei villaggi, i clan ricchi invitano tutti gli abitanti come loro ospiti. I membri del clan più ricco organizzano i banchetti, i rituali, la musica e le danze di uno dei festival annuali e regalano i loro beni come doni a tutti i vicini. In questo modo acquisiscono solo onore. Poiché questa è un’attitudine generale, le economie matriarcali possono essere definite effettivamente delle economie del dono (così come le ha formulate G. Vaughan). Questo sistema impedisce che i beni siano accumulati da un gruppo o da una persona specifica, creando così un sistema di mutuo aiuto. Evitando l’accumulazione, si mantengono in modo consapevole i principi dell’uguaglianza economica, ciò che rende egualitarie queste società. Pertanto, a livello economico le società matriarcali creano un’economia bilanciata, che è la base della pace. In relazione a questi due aspetti, le definisco società di reciprocità economica, basate sulla circolazione dei doni.

A livello sociale, le società matriarcali sono basate sul clan. Le persone vivono insieme in grandi gruppi legati da vincoli che seguono il principio della matrilinearità, cioè la parentela in linea materna. Il nome del clan, gli onori sociali e i titoli politici sono ereditati dalle madri. Un matri-clan consiste di almeno tre generazioni di donne e di uomini a esse imparentate. Vivono insieme in una grande casa del clan, ed è ciò che viene definito matrilocalità. Il clan è un’unità economica autosufficiente. Al fine di raggiungere una coesione sociale tra i clan di un villaggio o di una città, sono state sviluppate complesse convenzione matrimoniali per legare i clan affinché abbiano benefici reciproci. Il risultato è che tutti gli abitanti di un villaggio o di una città sono imparentati in qualche modo tra loro. Queste relazioni, basate sul vincolo, costituiscono un sistema di supporto reciproco che ha regole precise. In questo modo si crea una società senza gerarchie che si concepisce come un clan esteso in cui ciascuno è “madre” o “sorella” o “fratello” di tutti. Pertanto, definisco le società matriarcali come società orizzontali non gerarchiche, di discendenza matrilineare.

Il fattore decisivo per una società di pace è il processo attraverso cui si prendono le decisioni politiche. Nelle società matriarcali, la pratica politica segue il principio del consenso, che significa unanimità per ogni decisione. Al fine di attuare questo principio le società si sono ben organizzate sulla base dei vincoli del lignaggio matriarcale. La base di ogni decisione è ciascuna casa del clan. Le questioni che riguardano la casa del clan sono decise dalle donne e dagli uomini mediante un processo di consenso. Lo stesso si applica alle decisioni che riguardano l’intero villaggio. Le donne e gli uomini si incontrano nella casa del clan dove formano un consiglio per discutere le questioni domestiche. Quando si discutono temi che riguardano il villaggio, i delegati di ogni casa-clan si incontrano per il consiglio del villaggio. I delegati non prendono decisioni, ma comunicano semplicemente le decisioni che sono state prese nella loro casa-clan. Questi/e mantengono il sistema di comunicazione del villaggio e vanno avanti e indietro tra il consiglio del villaggio e la loro casa-clan fino a quando il villaggio intero raggiunge il consenso. La stessa cosa si applica a livello regionale. I delegati dei villaggi si spostano tra i consigli dei villaggi e il consiglio regionale fino a quando tutti gli appartenenti alla regione hanno raggiunto il consenso. È abbastanza evidente che una tale società non sviluppa gerarchie o classi e che non è possibile sviluppare un differenziale di potere tra i generi o le generazioni. Pertanto, definisco le società matriarcali a livello politico “società ugualitarie di consenso”.

Ma un tale sistema sociale non potrebbe funzionare completamente se non ci fosse una profonda attitudine spirituale che permea e supporta il tutto. A livello spirituale e culturale, le società matriarcali non hanno religioni basate su un Dio maschile, trascendente e onnipotente, e tanto meno sullo Spirito Santo, contrapposto a un mondo che viene svalutato come “materia cattiva o morta”. Nelle società matriarcali la divinità è immanente in quanto il mondo intero è considerato divino, divino femminile. Ciò si esprime nella concezione diffusa dell’universo come Grande Dea, colei che ha generato ogni cosa, tra cui la terra, che come Grande Madre, produce tutto ciò che è vivente, e nella concezione secondo cui ciascuna/o è dotata di divinità. In un tale cultura, tutto è spirituale. Nei festival, che seguono i cicli stagionali e i cicli della vita, tutto viene celebrato. Non c’è alcuna separazione tra il sacro e il profano, e anche le attività quotidiane hanno un significato rituale. In questo senso le società matriarcali sono sacre. La natura è considerata sacra, inclusa la terra e il cosmo, e gli esseri umani la venerano vivendo in pace con Essa. Pertanto, a livello spirituale, definisco le società matriarcali “società sacre e culture del Femminile Divino o Dea”.

Politica Patriarcale – Da questa sintesi dei Moderni Studi Matriarcali si deduce che si tratta di modelli di conoscenza non patriarcali sostanzialmente pacifici, fondati sull’uguaglianza sociale, politica e culturale. Conoscere questi modelli è urgente e necessario in questa fase ultima e globalmente distruttiva del patriarcato. Appare sempre più evidente oggi l’importanza dei modelli matriarcali sia per le società attuali che per quelle future. I matriarcati non sono utopie astratte, costruite sulla base di concetti filosofici non attuabili, al contrario, essi sono esistiti per lunghi periodi storici giungendo sino ad oggi. I matriarcati incarnano un enorme complesso di creatività intellettuale e di esperienze pratiche, e appartengono necessariamente al retaggio delle conoscenze culturali dell’umanità. I loro valori dimostrano come la vita possa essere organizzata intorno a modalità non violente fondate sui bisogni, o meglio, semplicemente umane.

Vorrei proporre alcuni suggerimenti per una nuova società ugualitaria e pacifica. Questo cammino è definito “Politica Matriarcale”. Naturalmente non possiamo imitare le società matriarcali tradizionali, ma possiamo riceverne stimoli e visioni profonde considerando che a differenza di utopie teoriche, esse hanno vissuto per millenni. Da un punto di vista economico, credo che la lezione del matriarcato consista nel trovare una nuova economia di sussistenza, basata su unità locali e regionali. Le comunità di questa economia lavorano in modo autosufficiente creando circoli di economia del dono. La qualità di vita che ne risulta è per loro più importante del produrre una grande quantità di merci. Le donne sono il perno di queste strutture economiche e ne sono ben consapevoli. Pertanto, la regionalizzazione e i circoli del dono creati dalle iniziative delle donne sono uno strumento dell’economia matriarcale. A livello sociale, penso sia necessario creare e supportare gruppi o comunità basati sull’affinità. Questi possono essere le comunità tradizionali esistenti, o altre nuove comunità. Tali comunità di affinità si formano sulla base di un rapporto spirituale-filosofico tra i membri, che si sentono come “fratelli/sorelle per scelta”, e possono così formare dei “clan simbolici”. I clan simbolici hanno la tendenza a diventare matriarcali se hanno preso l’avvio e sono condotti da donne. I fattori decisivi sono i bisogni delle donne, e in particolare quelli dei bambini, che sono il futuro dell’umanità. A livello politico, il principio del consenso matriarcale è della massima importanza per una società veramente ugualitaria. Il principio del consenso è la fondazione per costruire nuove comunità matriarcali. Seguendo questo principio, le piccole unità dei nuovi matri-clan simbolici sono quelle che prendono decisioni. Ma questo può essere praticato solo a livello regionale. Secondo una prospettiva di sussistenza, l’obiettivo politico è di creare delle regioni fiorenti e autosufficienti – e non grandi stati-nazione, o unioni di stati o super poteri. A livello culturale, la lezione delle società matriarcali consiste nell’abbandonare le religioni gerarchiche che pretendono di possedere la verità. È invece necessario guardare il mondo come qualcosa di sacro, amarlo e proteggerlo, poiché secondo la cultura matriarcale, tutto nel mondo è divino.

Per questo la spiritualità matriarcale può nuovamente pervadere tutto e divenire parte della vita quotidiana. Questo è il cammino verso una nuova società ugualitaria, e può essere solo olistica, senza per questo essere vaga. Deve essere un cammino concreto, che non si perde in dettagli. Lo chiamo il “modello matriarcale”. È una visione chiara che può diventare una linea guida pratica per integrare le diverse azioni delle promotrici/ori di pace, e renderle così più potenti. Ritengo che molto del lavoro portato avanti oggi dai movimenti alternativi a livello economico, sociale, politico e spirituale tenda implicitamente verso i modelli matriarcali che ho qui illustrato. (Tratto e adattato da Società Matriarcali come Società di Pace – Armonie (armoniedonnebologna.it). Sito che vi invitiamo a visitare e che ringraziamo per il prezioso lavoro che svolge.)

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L’aldilà degli antichi

L’aldilà degli antichi

Odisseo cerca tre volte di abbracciare la madre nell’Ade

Buongiorno amiche e amici! Quest’oggi vogliamo segnalarvi questa interessante trasmissione della Rete Due della RSI in cui Letizia Bolzani intervista Silvia Romani che ci parla dei diversi modi in cui gli antichi immaginavano l’aldilà, in occasione del suo nuovo interessantissimo libro. Buon ascolto! E buona lettura!

Dalla presentazione della trasmissione: Orfeo prova, senza successo, a portarne fuori la moglie; Ulisse vi incontra la madre pur senza riuscire ad abbracciarla; Achille ne viene visitato dall’amico Patroclo, che è evanescente come un’ombra; Demetra deve lasciare che la figlia Persefone vi torni periodicamente; Enea chiede alla Sibilla la strada per giungere al cospetto del padre defunto: il mondo antico ci narra tante storie di affetti familiari che provano ad attraversare i misteriosi confini con il mondo dei trapassati. Un mondo dai molti nomi – Ade e Averno sono forse i più ricorrenti – e dai confini fluidi, un paesaggio lugubre oppure amorfo, oppure ancora ameno.

Riflettere sui modi con cui il pensiero greco e romano si è rappresentato l’aldilà ci aiuta a leggere più approfonditamente la filosofia antica, oltre a fornirci alcune chiavi per comprendere l’immaginario anche di noi contemporanei.

Ne parleremo in questa puntata con Silvia Romani, docente di Mitologia e Religioni del mondo classico all’Università Statale di Milano, che ha recentemente pubblicato, con Tommaso Braccini, il saggio “Una passeggiata nell’aldilà in compagnia degli antichi” (Einaudi).

Ecco la trasmissione

Il primo capitolo de “Il Viaggio dell’Eroe” di Paul Rebillot

Il primo capitolo de “Il Viaggio dell’Eroe” di Paul Rebillot

In esclusiva e con il permesso della Casa Editrice Ericlea, che ringraziamo, vi mettiamo qua un estratto dal primo capitolo de “Il Viaggio dell’Eroe” di Paul Rebillot.

CAPITOLO 1 – IL VIAGGIO DELL’EROE – PAUL REBILLOT – ©2015 COPYRIGHT CASA EDITRICE ERICLEA

Quando iniziai a sviluppare il materiale che sarebbe divenuto il Viaggio dell’Eroe, il primo passo fu quello di individuare una struttura, un filo conduttore sul quale imbastire il rituale teatrale. Fui fortunato: incontrai il classico L’eroe dai mille volti di Joseph Campbell. Il libro descriveva proprio la struttura che stavo cercando, esemplificata tramite il mito dell’Eroe. Campbell aveva scoperto che tutti i riti di iniziazione possedevano la stessa configurazione: separazione dal vecchio modo di agire, dalla comunità o dal gruppo, iniziazione o movimento verso il nuovo livello, e infine ritorno nel gruppo con il dono ricevuto durante il viaggio. Utilizzando la traccia di questo mito monografico dell’Eroe, costruii un procedimento che guidasse le persone attraverso l’archetipo della trasformazione così da poterlo applicare alle loro vite. Facendo l’esperienza della configurazione del Viaggio dell’Eroe, molte persone si sono accorte di aver appreso il modello della trasformazione: quando inevitabilmente le loro vite cambiano, non si spaventano più. Sanno che il cambiamento seguirà una certa sequenza. Hanno la mappa.

Prima di cominciare il nostro viaggio, vorrei consegnarvi questa mappa. Vi mostrerà il percorso che dovrete attraversare e i personaggi che diverrete.

Breve mappa del territorio Il personaggio principale della nostra rappresentazione è, naturalmente, l’Eroe. Chi è un Eroe? Per me questa breve poesia, scritta da una donna di novantaquattro anni, cattura l’essenza dell’essere eroico, il “senso di seguire” un richiamo quando questo arriva.

Something soft and gentle
Glides through your fingers
And it seems to grab your hand and lead you
On to something greater
If you only had the sense to follow it.[1]

L’Eroe non è né una figura arcaica del periodo patriarcale né un’immagine strettamente maschile; si tratta di un aspetto della natura umana, l’aspetto che sente il richiamo del sé profondo e vi risponde. Uso il termine “eroe” sia per le donne che per gli uomini, perché considero “eroina” un termine diminutivo e poco dignitoso. L’Eroe rappresenta il potenziale di seguire l’impulso verso qualcosa di migliore, il potenziale insito in ogni essere umano.

La storia del Viaggio dell’Eroe segue una struttura fissa. L’Eroe, come già detto, è qualcuno che sente il richiamo dell’avventura e lo segue. Di solito questa persona, femmina o maschio, è più o meno ben inserita nel suo ambiente socioculturale, ma aspira e ha un’inclinazione verso un’ulteriore evoluzione. A un certo punto questa inclinazione si intensifica e diviene l’esperienza di un richiamo. Questo richiamo può venire dall’esterno sotto forma di un invito o di un suggerimento da parte di qualcuno, come quando Gesù chiamò i suoi discepoli: “Lasciate tutto e seguitemi”; oppure può nascere da una voce interiore, come quando il principe Siddhartha, osservando la sofferenza della vita, si sentì obbligato ad abbandonare il suo palazzo e andare alla ricerca della saggezza e della calma interiore. In tutti e due i casi il richiamo dice: “Nella tua vita ci potrebbe essere più ricchezza di quella che stai vivendo ora”. Da qualsiasi direzione arrivi, il richiamo penetra profondamente nel sé, e lì rimane fino a quando viene personificato dall’Eroe oppure soppresso dalla vita di tutti i giorni.

Il richiamo fa scattare il primo livello di resistenza: la vita quotidiana concorre a creare e mantenere lo status quo, per esempio il proprio lavoro, la propria casa, le proprie responsabilità, il proprio modo di stabilire le relazioni con le altre persone. L’Eroe deve riconoscere queste resistenze e confrontarsi con esse prima di poter cominciare il viaggio. Nel procedimento del Viaggio dell’Eroe, scopriamo la natura del nostro richiamo attraverso gli esercizi della Terra d’Origine.

Man mano che l’eroe procede per la sua strada, appaiono degli aiutanti, persone che lo incoraggiano, guide o amici che segnalano i punti pericolosi. Uno Spirito Guida dona all’eroe uno Strumento di Potere da usare nelle battaglie che dovranno essere combattute e nelle prove che dovranno essere superate. Per esempio, Re Artù riceve una spada da Merlino, Atena dà a Perseo il suo scudo, Cenerentola riceve il suo stupendo vestito e la carrozza dalla fata madrina. Durante il viaggio sceglieremo il nostro Spirito Guida e scopriremo il nostro Strumento di Potere.

Una volta armato, l’Eroe si dirige verso il punto del non ritorno, la Soglia dell’Avventura. Di solito essa si presenta come un cancello, come l’imbocco di una caverna, l’inizio di una foresta – il passaggio verso un altro mondo. Qui l’Eroe incontra un drago, il guardiano di un castello, un cane con tre teste – insomma una sentinella che gli nega l’accesso. La sentinella è il secondo livello di resistenza, e rappresenta tutte le forze interiori di auto-sabotaggio. Nel Viaggio dell’Eroe, questo guardiano è chiamato Demone della Resistenza.

L’Eroe e il Demone mettono in scena un Confronto, che continua fino a quando non si raggiunge una risoluzione. Il Demone non muore, viene reintegrato nell’Eroe. A questo punto l’Eroe, a volte accompagnato dal Demone trasformato, si addentra nel Mysterium, un misterioso mondo interiore.

Il Mysterium è un posto straordinario, una foresta incantata di meraviglie soprannaturali. L’Eroe continua il suo percorso, incontrando cose nuove e fuori del comune. Ma ora, armato del suo Strumento di Potere e conscio del sapere acquisito durante il Confronto, si sente pronto per affrontare qualsiasi situazione. Ben presto l’Eroe dovrà passare attraverso la Prova Suprema, una lotta colossale con la sua paura più profonda.

Alla fine, dopo essere sopravvissuto alla Prova Suprema, l’Eroe si è meritato il Premio per il suo viaggio. Potrebbe trattarsi del Santo Graal, di un tesoro, o del matrimonio interiore: qualsiasi cosa l’Eroe stesse cercando. Questo è il regalo di vita che giunge dopo la lunga notte di morte; la medicina con cui l’Eroe ritorna a casa. Gli aspetti magici del Mysterium sono lasciati dietro alle spalle quando l’Eroe attraversa di nuovo la soglia, ma la coscienza e la pienezza del viaggio rimangono per migliorare o cambiare la situazione a casa. Con il Ritorno alla vita quotidiana, il Viaggio è completo.

I livelli del Viaggio dell’Eroe. Il Viaggio dell’Eroe si svolge a diversi livelli:

Il livello rituale: si tratta della cornice spirituale, rinforzata dal Rituale della Vestale e dal cantare le rom.
Il livello teatrale: si tratta della storia mitologica o archetipica dell’Eroe, della quale abbiamo già parlato.
Il livello della Danza del Vuoto Fertile: questa meditazione in movimento permette ai partecipanti di superare la soglia che separa il rituale dal teatrale grazie alle ricapitolazione, fisica e per mezzo dell’immaginazione guidata, del loro viaggio.[2]
Il livello biografico: la nostra psicologia individuale, che prende corpo dalla nostra storia personale.
Il livello didattico: la spiegazione teorica del procedimento, attraverso la quale la guida cerca di spiegare ai partecipanti, nel modo più chiaro possibile, quello che viene fatto.
Il livello pratico: l’organizzazione del procedimento e le esigenze del vivere quotidiano (o, nel caso dell’organizzazione di gruppi, le esigenze d’orario del luogo che ospita il seminario e i limiti dovuti alla struttura).

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[1] “Qualcosa di morbido e delicato/Scivola tra le tue dita/E sembra prenderti per mano e guidarti/Verso qualcosa di più grande/Se solo tu sentissi il desiderio d seguirla”. Nadya Catalfano, in Kennet Koch, I Never Told Anybody: Teaching Poetry Writing in a Nursing Home. New York: Random House, 1977.
[2] In inglese “Fool’s Dance,” dal personaggio della carta numero zero dei tarocchi: “il Matto”. La traduzione “Danza del Matto” o “Danza del Folle” non ci è però sembrata convincente. (NdT)