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Il mito di Elena di Troia

Il mito di Elena di Troia

Il racconto del mito di Elena è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 17: Elena – La bellezza che genera la guerra.

Quando Elena, la bellissima figlia di Leda, raggiunse l’età da marito, tutti i principi di Grecia si presentarono al palazzo del suo patrigno Tindareo con ricchi doni per chiedere la sua mano, oppure si fecero rappresentare da parenti. Diomede, reduce dalla sua vittoria su Tebe, si trovò colà in compagnia di Aiace, Teucro, Filottete, Idomeneo, Patroclo, Menesteo e molti altri. Anche Odisseo giunse al palazzo, ma a mani vuote, poiché non aveva la minima possibilità di successo. Infatti benché i Dioscuri, fratelli di Elena, volessero maritarla a Menesteo di Atene, essa avrebbe dovuto essere concessa in sposa al principe Menelao, il più ricco degli Achei, rappresentato dal potente genero di Tindareo, Agamennone. E Odisseo lo sapeva. Tindareo non respinse alcuno dei pretendenti né, d’altro canto, volle accettare i doni offerti; poiché temeva che la sua preferenza per questo o quel principe potesse far nascere dispute tra gli altri. Odisseo così gli disse un giorno: «Se ti consigliassi un buon sistema per evitare una disputa, mi aiuteresti tu, in cambio, a sposare Penelope figlia di Icario?» «Affare fatto», rispose Tindareo. «Allora», continuò Odisseo, «il mio consiglio è questo: insisti perché tutti i pretendenti di Elena si impegnino a difendere il suo promesso sposo contro chiunque si adonti per la sua buona sorte». Tindareo convenne che quella era un’ottima soluzione. Dopo aver sacrificato e fatto a pezzi un cavallo, pregò tutti i pretendenti di disporsi in cerchio attorno alle carni sanguinanti e di ripetere il giuramento formulato da Odisseo. La carne del cavallo fu poi bruciata in un punto che ancora si chiama «Tomba del Cavallo».

Non si sa se Tindareo stesso scelse il marito di Elena, oppure se essa indicò la propria preferenza cingendo con una corona il capo dell’eletto. Sposò comunque Menelao che divenne re di Sparta dopo la morte di Tindareo e la divinizzazione dei Dioscuri. Un triste fato tuttavia incombeva sul loro matrimonio: anni prima, mentre stava sacrificando agli dei, Tindareo si era stupidamente scordato di Afrodite che si vendicò giurando di rendere famose per i loro adulteri le tre figlie del re: Clitennestra, Timandra ed Elena. Menelao ebbe da Elena una figlia, che chiamò Ermione; i loro figli maschi furono Eziola, Marafio, da cui si vanta di discendere la famiglia persiana dei Marafioni, e Plistene. Una schiava etolica chiamata Pieride generò poi a Menelao due bastardi gemelli: Nicostrato e Megapente. Perché, ci si chiede, Zeus e Temi fecero scoppiare la guerra di Troia? Forse per rendere famosa Elena che aveva messo l’una contro l’altra Asia ed Europa? Oppure per esaltare la stirpe dei semidei e al tempo stesso decimare le tribù popolose che opprimevano la faccia della Madre Terra? Le ragioni che mossero gli dei rimarranno per sempre oscure, ma la decisione era già stata presa quando Eris gettò la mela d’oro con la scritta «Alla più bella» sul tavolo del banchetto alle nozze tra Peleo e Teti. Zeus Onnipotente si rifiutò di appianare la disputa sorta tra Era, Atena e Afrodite, e lasciò che Ermes guidasse le tre dee sul monte Ida, dove Paride figlio di Priamo avrebbe fatto da arbitro. Ora, poco prima della nascita di Paride, Ecuba sognò di generare una fascina di legna brulicante di serpenti e si destò gridando che la città di Troia e le foreste del monte Ida erano in fiamme. Priamo subito consultò Esaco, il figliolo suo veggente, che annunciò: «II bimbo che sta per nascere sarà la rovina della nostra patria! Ti supplico di liberartene!» Pochi giorni dopo Esaco profetizzò di nuovo: «Le principesse troiane che partoriranno oggi dovranno essere uccise, e così pure i loro figli!» E infatti Priamo uccise sua sorella Cilla e il di lei figlio Munippo, nato quella mattina da segrete nozze con Timete, e li seppellì nel sacro recinto di Troo. Anche Ecuba mise alla luce un bimbo prima del calar del sole, ma Priamo risparmiò le loro vite, benché Erofila, sacerdotessa di Apollo, e altri veggenti, supplicassero Ecuba di uccidere almeno il bambino. Essa non ne ebbe il coraggio e infine Priamo decise di mandare a chiamare uno dei suoi pastori, un certo Agelao, e di affidargli quel triste compito. Agelao, che aveva il cuore troppo tenero per usare la corda o la spada, abbandonò il bimbo sul monte Ida, dove fu allattato da un’orsa. Ritornato sul posto cinque giorni dopo, Agelao rimase di stucco alla vista di quel prodigio e portò con sé il bimbo in una borsa (di qui il nome di Paride) e lo allevò con il proprio figlio appena nato; presentò poi a Priamo la lingua di un cane come prova che i suoi ordini erano stati eseguiti; ma alcuni dicono che Ecuba pagò Agelao perché risparmiasse la vita di Paride e celasse la verità a Priamo.

II nobile sangue di Paride si palesò ben presto nella sua radiosa bellezza, nella sua intelligenza e nella sua forza eccezionale; ancora fanciullo mise in fuga una banda di razziatori e ricuperò le bestie che essi avevano rubate, meritandosi così il soprannome di Alessandro. Benché a quell’epoca egli fosse poco più che uno schiavo, divenne l’amante prediletto di Enone, figlia del fiume Eneo e Ninfa delle fonti. Rea le aveva insegnato l’arte della profezia e Apollo, mentre era mandriano di Laomedonte, l’aveva istruita nella scienza della medicina. Paride ed Enone, radunati i loro greggi, usavano cacciare assieme; egli incideva il nome della Ninfa sulle cortecce dei faggi e dei pioppi. Lo svago favorito di Paride consisteva nel far lottare i tori di Agelao l’uno contro l’altro; coronava poi il vincitore con dei fiori, e il perdente con della paglia. Quando uno di codesti tori cominciò a vincere con regolarità. Paride lanciò una sfida ai tori campioni delle mandrie vicine e tutti furono sconfitti. Infine Paride propose come premio una corona d’oro al toro che riuscisse a superare il suo; Ares allora, per capriccio, si tramutò in toro e riportò la vittoria. Paride senza esitare lo premiò con la corona promessa, e quel gesto piacque molto ad Ares e a tutti gli altri dei che stavano a guardare dall’Olimpo. Ecco perché Zeus lo scelse come arbitro nella contesa delle tre dee. Paride stava pascolando la sua mandria sul monte Gargare, la vetta più alta dell’Ida, quando Ermes, accompagnato da Era, Atena e Afrodite, gli consegnò la mela d’oro e il messaggio di Zeus: «Paride, poiché tu sei un giovane tanto bello quanto esperto negli affari di cuore. Zeus ti ordina di giudicare quale di queste dee è la più bella». Paride dubbioso prese la mela tra le mani. «Come potrebbe un semplice mandriano come me divenire arbitro della divina bellezza?» disse. «Dividerò la mela fra le tre dee.» «No, no», replicò ansioso Ermes, «non puoi disobbedire all’ordine dell’Onnipotente Zeus, ne io sono autorizzato a darti il mio consiglio. Fai buon uso della tua naturale intelligenza». «E così sia», sospirò Paride. «Ma prima vorrei pregare le perdenti di non serbarmi rancore. Sono soltanto un essere umano, in grado di commettere i più stupidi errori.» Le dee in coro promisero di rimettersi alle sue decisioni. «Basterà che io le giudichi così come sono», chiese Paride a Ermes, «oppure debbono essere nude?» «Tocca a te stabilire le regole della gara», rispose Ermes con un discreto sorriso. «In tal caso, vogliono acconsentire a spogliarsi?» Ermes disse alle dee di obbedire ed educatamente voltò loro la schiena. Afrodite fu subito pronta, ma Atena volle che ella si togliesse anche la famosa cintura magica che le dava lo sleale vantaggio di fare innamorare tutti di sé. «Benissimo», rispose Afrodite seccata, «io me la toglierò, ma a patto che tu ti liberi dell’elmo: sei orribile, senza». «Ora, se non vi dispiace», disse Paride, «vorrei esaminarvi a una a una, per non essere distratto dalle discussioni. Avvicinati, divina Era! E voi due, sarete gentili da lasciarci per qualche minuto?» «Esaminami coscienziosamente», disse Era girando piano piano su se stessa per mettere in luce la sua splendida figura, «e ricordati che se mi giudicherai la più bella farò di te il padrone dell’Asia e il più ricco dei viventi». «Io non mi lascio comprare, mia signora… Benissimo, grazie. Ho veduto quanto basta. Vieni avanti, divina Atena!» «Eccomi», rispose Atena avanzando con passo risoluto. «E tu ascoltami. Paride: se sarai tanto assennato da assegnarmi il premio, farò di te il più bello e il più saggio degli uomini, vincitore di tutte le battaglie.» «Sono un umile pastore, non un guerriero», disse Paride, «e tu stessa puoi vedere che la pace regna nella Lidia e nella Frigia, e che la sovranità di re Priamo è incontestata. Ma prometto di tenere in considerazione le tue legittime pretese alla mela. Ora puoi rivestirti e rimetterti l’elmo. È pronta Afrodite?» Afrodite gli scivolò accanto e Paride arrossì perché era tanto vicina che quasi i loro corpi si toccavano. «Guarda bene. Paride, e che nemmeno un particolare ti sfugga… Bada che appena ti vidi, dissi a me stessa: “Parola mia, questo è il più bei giovane dell’intera Frigia! Perché si è seppellito su una montagna badando a una stupida mandria?” Ebbene, perché caro Paride? perché non te ne vai in città per vivere una vita civile? Che ci perderesti a sposare Elena di Sparta, a esempio, che è bella quanto me e non meno ardente? Sono certa che, se ti vedesse, abbandonerebbe la sua casa e la sua famiglia, tutto insomma, per divenire la tua amante. Certo tu hai sentito parlare di Elena!» «Mai fino ad oggi, mia signora, e ti sarò grato se vorrai descrivermela.» «Elena è bionda e di carnagione delicata, poiché nacque da un uovo di cigno. Può vantarsi di avere Zeus come padre, ama la caccia e la lotta, provocò una guerra quando era ancora bambina e, raggiunta l’età da marito, fu chiesta in sposa da tutti i principi della Grecia. Ora è moglie di Menelao, fratello del gran re Agamennone; ma ciò non crea ostacoli, può essere tua se lo vorrai,» «Come è possibile, se è già sposata?» «O cielo! Quanta innocenza! Non hai mai saputo che è mio divino dovere sistemare questioni del genere? Ti consiglio di recarti in Grecia sotto la guida di mio figlio Eros. Non appena avrai raggiunto Sparta, egli farà in modo che Elena si innamori pazzamente di te.» «Puoi giurarmelo?» gridò Paride eccitato. Afrodite pronunciò un giuramento solenne e Paride, senza pensarci due volte, le consegnò la mela d’oro. Con questo suo giudizio si attirò l’odio insanabile di Era e di Atena, che si allontanarono a braccetto complottando la distruzione di Troia; mentre Afrodite, con un perfido sorriso, già pensava a come tenere fede alla sua promessa.

Poco tempo dopo, Priamo mandò i suoi servi a scegliere un toro nella mandria di Agelao. L’animale avrebbe dovuto essere assegnato in premio al vincitore dei giochi funebri che si celebravano ogni anno in onore del morto figlio del re. Quando i servi scelsero il toro campione. Paride provò l’irresistibile desiderio di partecipare ai giochi. Invano Agelao tentò di distoglierlo dal suo proposito: «Puoi continuare a far combattere i tori anche quassù. Che altro vuoi?» Ma Paride insistette e infine Agelao lo accompagnò a Troia. Era usanza troiana che, al termine del sesto giro di pista della corsa dei cocchi, i concorrenti alla gara di pugilato cominciassero a battersi dinanzi al trono. Paride decise di competere e, nonostante le suppliche di Agelao, balzò nell’arena e vinse la corona, più per coraggio che per abilità. Arrivò primo anche nella gara di corsa e la cosa esasperò i figli di Priamo che lo sfidarono di nuovo: e così vinse la terza corona. Vergognandosi per quella pubblica umiliazione, i principi pensarono allora di ucciderlo e posero una guardia armata a ogni uscita dello stadio, mentre Ettore e Deifobo attaccavano Paride con le loro spade. Paride si rifugiò sull’altare di Zeus e Agelao corse verso Priamo gridando: «Maestà, questo giovane è il figlio vostro che credevate perduto!» Priamo convocò subito Ecuba la quale, esaminato un sonaglio che Agelao aveva trovato nelle mani del bimbo abbandonato, confermò l’identità di Paride. Questi allora fu condotto trionfalmente al palazzo dove Priamo festeggiò il suo ritorno con un sontuoso banchetto e sacrifici agli dei. Tuttavia, non appena i sacerdoti di Apollo ebbero udito questa notizia, annunciarono che Paride doveva essere immediatamente condannato a morte, altrimenti Troia sarebbe stata distrutta. Il loro verdetto fu riferito a Priamo che rispose: «Perisca pure Troia, ma non il mio bel figliolo!» I fratelli di Paride che erano già sposati insistettero perché egli prendesse moglie; ma Paride rispose che Afrodite gli avrebbe scelto la sposa, e come al solito innalzava a lei ogni giorno le sue preghiere. Quando fu convocato un altro concilio per discutere della liberazione di Esione, dato che le offerte pacifiche erano state respinte dai Greci, Paride si offerse volontario per guidare la spedizione, se Priamo gli avesse allestito una flotta potente e ben munita. Aggiunse astutamente che, se non fosse riuscito a riprendersi Esione, forse avrebbe portato con sé una principessa greca sua pari per trattare il riscatto. Ma in cuor suo, naturalmente, egli aveva già deciso di recarsi a Sparta e di rapire Elena.Quello stesso giorno Menelao arrivò inaspettatamente a Troia e chiese di visitare le tombe di Lieo e di Chimere, figli di Prometeo e di Celeno l’Atlantide; disse che l’oracolo delfico gli aveva imposto di sacrificare sulle loro tombe per por fine alla pestilenza che faceva strage in Sparta. Paride si intrattenne con Menelao e gli chiese di essere purificato da lui a Sparta, poiché senza volerlo egli aveva ucciso Anteo, il giovane figlio di Antenore, con una spada da bambini. Quando Menelao acconsentì, Paride, per consiglio di Afrodite, ordinò a Fereclo, figlio di Tettone, di allestire la flotta promessagli da Priamo; la figura che ornava la prua della nave ammiraglia era un’Afrodite con un piccolo Eros tra le braccia. Il cugino di Paride, Enea, figlio di Anchise, acconsentì ad accompagnarlo. Cassandra, i capelli irti in capo, predisse la guerra che sarebbe nata da quel viaggio ed Eleno appoggiò le sue parole; ma Priamo non badò ai suoi figli profetici. Nemmeno Enone riuscì a dissuadere Paride benché egli piangesse al momento del congedo. «Ritorna da me semmai sarai ferito», gli disse Enone, «perché io sola saprò curarti.» Appena la flotta fu salpata, Afrodite fece alzare una brezza favorevole e Paride ben presto giunse a Sparta, dove Menelao festeggiò il suo arrivo per nove giorni. Durante il banchetto, Paride offrì a Elena i doni che le aveva portato da Troia; e i suoi sguardi infuocati, i suoi alti sospiri e i suoi arditi cenni la misero in grande imbarazzo. Preso tra le mani il calice di Elena, Paride se lo portò alle labbra dalla parte dove la regina aveva bevuto; arrivò a tracciare sulla tovaglia col dito intinto di vino le parole: «Ti amo, Elena!» Elena ebbe paura che Menelao la sospettasse di incoraggiare la passione di Paride; ma Menelao che era uomo poco osservatore partì per Creta, dove doveva partecipare alle esequie di suo nonno Catreo, e lasciò a Elena il compito di intrattenere gli ospiti e di governare in sua assenza.

Elena fuggì con Paride la sera stessa e gli fece dono di sé nel primo porto dove gettarono l’ancora, cioè nell’isola di Cranae. Sulla terraferma, di fronte a Cranae, sorge ora il tempio di Afrodite che Unisce, fondato da Paride per ricordare l’evento. Alcuni sostengono erroneamente che Elena rifiutò le proposte di Paride e che egli la rapì con la forza mentre partecipavano assieme a una partita di caccia; oppure in Sparta stessa; oppure assumendo, con l’aiuto di Afrodite, l’aspetto di Menelao. Elena abbandonò a Sparta la figlia Ermione di nove anni, ma portò via con sé il figlio Plistene, la maggior parte dei tesori di corte e oro per il valore di tre talenti dal tempio di Apollo; inoltre la accompagnarono cinque ancelle, tra le quali erano due ex regine, Etra, la madre di Teseo e Tisadia, sorella di Piritoo. Mentre la flotta troiana veleggiava verso Troia, una violenta tempesta suscitata da Era costrinse Paride a rifugiarsi a Cipro. Di lì egli fece vela per Sidone e ivi fu accolto dal re; ma Paride, ormai esperto degli usi del mondo greco, assassinò e derubò a tradimento il suo ospite nella sala dei banchetti. Mentre il ricco bottino veniva imbarcato sulle navi, un gruppo di Sidoni attaccò i Troiani; questi li respinsero, e dopo aspra lotta che costò loro la perdita di due navi, presero il largo. Temendo di essere inseguito da Menelao, Paride si attardò per molti mesi in Fenicia, a Cipro e in Egitto; poi, raggiunta infine Troia, celebrò le sue nozze con Elena. I Troiani accolsero Elena con entusiasmo, rapiti da tanta bellezza. Un giorno, trovato sulla cittadella di Troia un sasso che stillava sangue se lo si soffregava contro un altro, Elena riconobbe in esso un potente afrodisiaco e lo usò per tener desta la passione di Paride. Non soltanto: tutta Troia si innamorò di lei e Priamo giurò di non lasciarla mai più ripartire.

Secondo una versione del tutto diversa, Ermes rapì Elena per ordine di Zeus e la affidò a re Proteo d’Egitto; frattanto un fantasma di Elena, fabbricato da Era (o secondo altri, da Proteo) con una nuvola, fu mandato a Troia con Paride, al solo scopo di provocare la guerra. I sacerdoti egiziani affermano, e la loro ipotesi è altrettanto improbabile, che la flotta troiana fu spinta fuori rotta dai venti contrari e che Paride approdò alla Pianura Salata, presso la bocca canopica del Nilo. Là sorge un tempio di Eracle, asilo per gli schiavi fuggiaschi che quando vi giungono si offrono al dio e ricevono certe sacre impronte sul loro corpo. I servi di Paride vi si rifugiarono e, dopo essersi assicurata la protezione dei sacerdoti, accusarono il padrone d’aver rapito Elena. La notizia fu portata a conoscenza di re Proteo a Menti e il re fece arrestare Paride e ordinò che glielo portassero dinanzi, con Elena e il tesoro rubato. Dopo un severo interrogatorio. Proteo scacciò Paride ma trattenne in Egitto Elena e il tesoro, in attesa che Menelao venisse a riprenderseli. In Menti sorge il tempio di Afrodite la Straniera, che si dice sia stato consacrato da Elena stessa. Elena generò a Paride tre figli, Bunomo, Agano e Ideo, morti tutti e tre ancora bambini, a Troia, per il crollo di un tetto; e una figlia, chiamata anch’essa Elena. Paride aveva avuto da Enone un figlio maggiore, di nome Corito; ed Enone, gelosa di Elena, lo mandò tra i Greci perché li guidasse contro Troia.

ll mito di Elena, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Recensione: Elena – La bellezza che genera la guerra

Recensione: Elena – La bellezza che genera la guerra

“Ma chi fu e per quale motivo, e in che modo appagò l’amore colui che conquistò Elena, non lo dirò: ché il dire, a chi sa, ciò che sa, aggiunge fiducia, ma non porta diletto. E però, varcato ora, col discorso, il tempo d’allora, mi rifarò dal principio del discorso propostomi, ed esporrò le cause per le quali era naturale avvenisse la partenza di Elena verso Troia.” (Gorgia, Encomio di Elena)

Dal risvolto di copertina: “La donna più bella di sempre e per ciò la più contesa e discussa: perfino l’origine del suo nome – “colei che brilla” – e le circostanze della sua nascita si sono prestate a numerose interpretazioni. Nata dall’unione di Zeus, sotto le spoglie di un cigno, con Leda, ha quale patrigno Tindaro, re di Sparta: divina e umana, forse in questo risiede l’origine dell’ambiguità. Elena rivela, attraverso Iliade e Odissea, poi nei versi di Euripide, nature molto diverse: moglie fedele e amante appassionata di Paride per il quale rinuncia a famiglia e patria, donna saggia ma generatrice di conflitti. Elena è contemporaneamente se stessa e altro da sé. In questo suo doppio si nascondono ancor oggi molte domande riguardo la sua “colpa” generatrice di guerra, la sua bellezza così ambita, tanto che Euripide le farà dire: “L’oggetto della difesa dei Troiani, il trofeo per cui combatterono i Greci, non ero io, era solo il mio nome”. (Elena, vv. 42-43).”

Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Nessuna donna fu più bella di Elena, né prima né poi. E nessuna fu più fatale di lei, per la quale venne sparso un fiume di sangue. Elena rappresentava, per i Greci, i due volti della bellezza: l’esaltazione della vita e del desiderio e anche il rischio che la bellezza porta con sé. A Sparta, sua città natale, esisteva un tempio in cui si venerava Elena, insieme al suo sposo Menelao; a questo tempio le ragazze di Sparta andavano in processione una volta all’anno perché Elena concedesse loro il dono più bello che gli dèi possano fare a un mortale: la bellezza.”

Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura (con una ricca antologia di testi classici sul mito), pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Elena è curato da Roberto Mussapi, poeta, drammaturgo e autore di saggi. Qui gli ultimi volumi pubblicati.

L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.

Il racconto del mito di Elena.
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Il mito di Orfeo e Euridice

Il mito di Orfeo e Euridice

Il racconto del mito di Orfeo e Euridice è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 6: Orfeo – La nascita della poesia

Orfeo, il più famoso poeta e musicista che la storia abbia mai avuto, non ha eguali tra uomini e dèi. È figlio del re Eagro e della musa Calliope. Il Dio Apollo un giorno gli dona una lira e le Muse gli insegnano a usarla. Diviene talmente abile che alla sua dolce musica il fragore dei torrenti cessa e l’acqua si dimentica di proseguire il cammino. Le selve inerti si muovono conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi vola, commuovendosi nell’ascoltare il dolce canto, perde le forze e cade. Le Driadi, uscendo dalle loro querce, si affrettano verso il cantore, e perfino le belve accorrono dalle loro tane al melodioso canto. Orfeo acquista una tale padronanza dello strumento che aggiunge due corde supplementari, portando a nove il loro numero per avere una melodia più soave.

Come prima grande impresa Orfeo partecipa alla spedizione degli Argonauti e quando la nave Argo giunge in prossimità dell’isola delle Sirene, è grazie a Orfeo e alla sua cetra che gli argonauti riescono a non cedere alle insidie nascoste nel canto. Durante la spedizione Orfeo dà innumerevoli prove della forza invincibile della sua arte, salvando la truppa in molte occasioni; con la lira e con il canto fa salpare la nave rimasta inchiodata nel porto di Jolco, dà coraggio ai naviganti esausti a Lemno, placa a Cizico l’ira di Rea, ferma le rocce semoventi alle Simplegadi, si fa amica Ecate, addormenta il drago che custodisce il Vello d’oro.

Ogni creatura ama Orfeo ed è incantata dalla sua musica e dalla sua poesia ma Orfeo ha occhi solo per una donna: Euridice, figlia di Nereo e di Doride che diviene sua sposa. Aristeo, uno dei tanti figli di Apollo, ama perdutamente Euridice e, sebbene il suo amore non sia corrisposto, continua a rivolgerle le sue attenzioni. La fanciulla per sfuggire alle sue insistenze si mette a correre ma ha la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell’erba che la morde, provocandone la morte istantanea. Orfeo, impazzito dal dolore e non riuscendo a concepire la propria vita senza la sua sposa, decide di scendere nell’Ade per cercare di strapparla dal regno dei morti. Lacerato dal dolore, scende allora nel mondo sotterraneo con la sua inseparabile lira per riportarla in vita. Raggiunto lo Stige, è dapprima fermato da Caronte. Orfeo, per oltrepassare il fiume, incanta il traghettatore con la sua musica. Sempre con la musica placa anche Cerbero, il cane a tre teste, guardiano dell’Ade. Una volta raggiunta la sala del trono degli Inferi, Orfeo incontra Ade e Persefone. Giunto al loro cospetto, Orfeo inizia a suonare e a cantare la sua disperazione e solitudine e le sue melodie sono così piene di dolore e di angoscia che gli stessi signori dell’Oltretomba si commuovono; le Erinni piangono; la ruota di Issione si ferma e i perfidi avvoltoi che divorano il fegato di Tizio non hanno il coraggio di continuare nel loro macabro compito; Sisifo si può fermare per un po’ a riposare sul sasso che continua a spingere su per la collina. Anche Tantalo dimentica la sua sete. Per la prima volta nell’oltretomba si conosce la pietà. È così che viene concesso a Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra la preceda e non si volti a guardarla fino a quando non siano giunti alla luce del sole.

Insieme ad Ermes (che deve controllare che Orfeo non si volti), si incamminano e iniziano la salita. Euridice, non sapendo del patto, continua a chiamare in modo malinconico Orfeo, pensa che lui non la guardi perché è brutta, ma lui, con grande dolore, deve continuare imperterrito senza voltarsi. Appena vede un po’ di luce, Orfeo, capisce di essere uscito dagli Inferi e si volta. Euridice però ha accusato un dolore alla caviglia morsa dal serpente e si è attardata… Orfeo ha trasgredito la condizione posta da Ade. Solo ora Euridice capisce e, all’amato, sussurra parole drammatiche e struggenti: «Grazie, amore mio, hai fatto tutto ciò che potevi per salvarmi». Si danno poi la mano, consapevoli che quella sarà l’ultima volta. Ermes con volto triste ed espressione compassionevole trattiene Euridice per una mano, perché ha promesso ad Ade di controllare ed è ciò che deve fare. Orfeo vede scomparire Euridice e si dispera, perché sa che non la vedrà mai più.

Orfeo per sette giorni cerca di convincere Caronte a condurlo nuovamente alla presenza del signore del regno sotterraneo, ma questi per tutta risposta lo ricaccia alla luce della vita. Orfeo si rifugia allora sul monte Rodope, in Tracia trascorrendo il tempo in solitudine e nella disperazione. Unica sua consolazione è la lira; suona e suona e suona. Gli alberi, i sassi e i fiumi lo ascoltano deliziati. Decide allora di non desiderare più nessuna donna dopo la sua Euridice. Un gruppo di Menadi ubriache lo invita a partecipare a un’orgia dionisiaca. Per tener fede a ciò che ha detto, rinuncia. Le Menadi, infuriate, lo uccidono, lo fanno a pezzi e gettano la sua testa nel fiume Ebro, insieme alla sua lira. La testa cade proprio sulla lira e galleggia, continuando a cantare soavemente. Zeus, toccato da questo prodigio, prende la lira e la mette in cielo formando una costellazione. La testa scende fino al mare e da qui alle rive di Metimna, presso l’isola di Lesbo, dove Febo Apollo la protegge da un serpente che le si è avventato contro.

Secondo altre versioni, i resti del cantore sarebbero stati seppelliti dalle impietosite Muse nella città di Libetra. Le Muse recuperano le membra di Orfeo e le seppelliscono ai piedi del monte Olimpo e ancor oggi, in quel luogo, il canto degli usignoli è più soave che in qualunque altra parte della terra.

La versione del mito di Orfeo ed Euridice è tratta da Orfeo e Euridice di Andreas Barella, edito dalla Casa Editrice Ericlea (per gentile concessione della casa editrice). Vai al sito della Ericlea per una ricca presentazione del volume.

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Recensione: Orfeo – La nascita della poesia

Recensione: Orfeo – La nascita della poesia

Dal risvolto di copertina: “Orfeo il poeta, Orfeo il musico, che per amore della moglie Euridice – morta  per il morso di un serpente – riuscì a scendere al regno degli Inferi, precluso ai viventi, commuovendo con il suo canto i cupi Plutone e Proserpina, sovrani di Ade, e ottenendo di riportarla al mondo dei vivi. E poi, quel gesto, forse per il desiderio irrefrenabile di vederla: Orfeo si voltò prima del ritorno alla luce, violando la condizione sancita dagli dèi, e in un attimo Euridice spari per sempre. Così il canto di Orfeo, il primo dei poeti, i cui versi commuovevano animali, piante, alberi e rocce, ci racconta un amore profondo, quel sentimento che proprio come questo mitico personaggio è destinato a non morire mai, tanto da arrivare alla modernità nei versi di Whitman, di RIlke, di Dino Campana che non esita a dedicare il suo capolavoro Canti orfici proprio a colui che della poesia seppe fare consolazione per un’assenza che mai si sarebbe colmata.”

Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Perché Orfeo si voltò? Questo è il mistero della sua storia; si potrebbe dire che chiunque, anziché guardare verso la luce che brilla dinanzi, si volga alle tenebre che ha dietro le spalle, finisce inesorabilmente per essere risucchiato dall’abisso.”

Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura, pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Orfeo è curato da Roberto Mussapi, poeta e drammaturgo. I suoi ultimi lavori.

L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.

Il racconto del mito di Orfeo tratto da Orfeo e Euridice di Andreas Barella
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Recensione: Dioniso – L’esaltazione dello spirito

Recensione: Dioniso – L’esaltazione dello spirito

Dioniso è e rimane il dio che porta l’uomo al di fuori di se stesso: è il dio delle danze estatiche durante le quali le sue fedeli, le Menadi, danzano fino a perdere la coscienza, entrano in trance e in quello stato sperimentano che nel loro corpo esiste qualcosa di possente e divino: l’estasi, l’ex-stasi (“via da quello che si conosce”) si manifesta dentro e intorno a loro. Dioniso non è però il dio che scatena la follia nelle persone, è un dio folle lui stesso. Il che vuole dire che in certe forme di pazzia è compresa l’estasi divina, vi è una manifestazione degli dèi. Quella di Dioniso è una follia sacra, che permette di dimenticare i dolori e uscire dal penoso limite che ogni essere umano vive: rinchiuso nel proprio corpo, nella propria mente, separato dagli altri esseri umani, dalla natura, dal divino.

L’altra via, oltre alle danze, alla follia manifestata tramite il corpo, che Dioniso offre agli esseri umani, è l’oblio causato dal vino, dall’inebriante bevanda da lui inventata. Se da una parte, quindi, è un dio che divide la società, dall’altra la unisce grazie all’opera civilizzatrice dell’addomesticamento della vite e della produzione del vino. Uscire dai propri schemi e poi ritornarvi: sembrano queste le caratteristiche di Dioniso, che trovano il loro culmine nell’altra invenzione ideata dal dio e donata agli esseri umani: il teatro.

Nel secondo volume della Collana Grandi Miti Greci del Corriere della sera, si narra il mito di Dioniso con le sue mille sfaccettature, e si fornisce molto materiale interessante a chi vuole approfondire il passaggio attraverso i secoli di questo “dio popolare” che non risiede sull’Olimpo, ma si mescola con noi umani. E che addirittura sposa un’umana: Arianna, abbandonata a Nasso da Teseo. Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene infatti anche approfondimenti sulla fortuna del mito nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura, pittura, teatro, cinema. Inoltre, vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. L’Autore del volume è Robero Mussapi: un poeta e drammaturgo, autore di saggi e di traduzioni da autori classici e contemporanei. Nato a Cuneo nel 1952, vive e lavora a Milano.

Breve introduzione al dio Dioniso
La narrazione del mito di Dioniso
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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