Il mito di Eracle (Parte 3 di 11): la morte di Ifito

Il mito di Eracle (Parte 3 di 11): la morte di Ifito

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Le dodici fatiche di Eracle: 12) La cattura di Cerbero, il guardiano infernale

Quando Eracle ritornò a Tebe dopo le sue Fatiche, diede in isposa la propria moglie Megara, giunta ai trentatre anni, al suo nipote e auriga lolao che ne aveva soltanto sedici, perché sosteneva che la sua unione con Megara era stata infausta. Si mise poi alla ricerca di una moglie più giovane e di migliore auspicio; e saputo che il suo amico Eurito, un figlio di Melanio re di Ecalia, aveva offerto la propria figlia Iole in isposa all’arciere che fosse stato capace di superare in una gara lui stesso e i suoi quattro figli, subito partì a quella volta. Eurito aveva ricevuto in dono un bellissimo arco da Apollo, e il dio gli aveva insegnato pure a usarlo; infatti egli si vantava di superare il maestro. Tuttavia Eracle vinse la gara senza difficoltà. Eurito ne fu assai amareggiato, e quando seppe che Eracle aveva ripudiato Megara dopo averne ucciso i figli, rifiutò di concedergli Iole in isposa. Bevuto molto vino per darsi coraggio disse a Eracle: «Tu non avresti mai potuto gareggiare con me e con i miei figli, se non avessi usato slealmente delle frecce magiche che vanno dritte al bersaglio. La prova dunque non è valida e in ogni caso non affiderei mai la mia amatissima figlia a un ruffiano come te. Sei lo schiavo di Euristeo e in qualità di schiavo meriti soltanto calci da un uomo libero!» Così dicendo cacciò Eracle dal palazzo. Eracle non rispose per le rime, come avrebbe potuto fare; ma giurò di vendicarsi in seguito.

Tre dei figli di Eurito, e cioè Dideone, Clizie e Tosseo, avevano appoggiato il padre nelle sue disoneste pretese. Il maggiore invece, che si chiamava Ifito, dichiarò che secondo giustizia Iole avrebbe dovuto essere data in isposa a Eracle; e quando, poco tempo dopo, dodici giumente dai solidi zoccoli e dodici vigorose mule sparirono dall’Elibea, rifiutò di credere che Eracle fosse l’autore del furto. Gli animali, in verità, erano stati rubati da Autolico, ladro ben noto, che per opera di magia ne alterò le fattezze e li vendette all’ignaro Eracle come se fossero di sua proprietà.  Ifito seguì le tracce delle giumente e delle mule e si accorse che si dirigevano verso Tirinto; ciò gli fece sospettare che Eracle, dopo tutto, avesse voluto davvero vendicarsi dell’insulto di Eurito. Trovatesi all’improvviso a faccia a faccia con Eracle celò i suoi sospetti e si limitò a chiedergli consiglio. Eracle non riconobbe gli animali dalla descrizione che gliene fece Ifito e con la consueta generosità promise di aiutarlo a cercarli se Ifito avesse accettato la sua ospitalità. Tuttavia comprese che lo si sospettava di furto e ciò urtò il suo cuore sensibile. Al termine di un sontuoso banchetto egli condusse Ifito sulla torre più alta di Tirinto. «Guardati attorno», gli intimò, «e dimmi se vedi le tue giumente pascolare qua sotto!» «Non le vedo», ammise Ifito. «Allora mi hai falsamente accusato, in cuor tuo, di essere un ladro!» urlò Eracle, e lo gettò giù verso la sua morte. Eracle poi si recò da Neleo re di Pilo, e gli chiese di essere purificato; ma Neleo rifiutò, perché Eurito era suo alleato. E nessuno dei suoi figli, salvo il più giovane, Nestore, acconsentì a ricevere Eracle che infine persuase Deifobo, figlio di Ippolito, a purificarlo ad Amicle. Tuttavia, poiché era ancora tormentato da incubi notturni, Eracle si recò dall’oracolo di Delfi e chiese come potesse liberarsene. La Pizia Senoclea rifiutò di rispondere a quella domanda. «Tu hai ucciso un ospite», disse, «e io non ho voce per uomini come te!» «Allora dovrò io stesso istituire un oracolo!» gridò Eracle. E tosto spogliò il tempio delle offerte votive e gettò via persino il tripode sul quale sedeva Senoclea. «Eracle di Tirinto era un uomo ben diverso dal suo omonimo Canopico!» disse la Pizia con tono severo; essa alludeva all’Eracle Egizio che un giorno era giunto a Delfi e si era comportato in modo cortese e riverente.

Apollo allora si levò indignato e lottò con Eracle finché Zeus non separò i due rivali con una folgore, inducendoli a stringersi la mano in segno di amicizia. Eracle restituì il sacro tripode e unitamente al dio fondò la città di Gizio dove ora sorgono, l’una accanto all’altra, nella piazza del mercato, statue di Apollo, di Eracle e di Dioniso. Senoclea diede poi a Eracle questo consiglio: «Per liberarti dal tuo tormento dovrai servire come schiavo per un anno intero, e il prezzo della tua schiavitù sarà offerto ai figli di Ifito. Zeus è furibondo perché hai violato le leggi dell’ospitalità, ne vale come scusa la provocazione». «Di chi dovrò essere schiavo?» chiese Eracle umilmente. «La regina Onfale di Lidia ti comprerà», replicò Senoclea. «Obbedisco», disse allora Eracle, «ma un giorno ridurrò in schiavitù l’uomo che ha fatto ricadere sulla mia testa questa sofferenza, e con lui tutta la sua famiglia!» Altri tuttavia dicono che Eracle non restituì il tripode e che quando, cento anni dopo. Apollo seppe che era stato portato nella città di Feneo, punì i Feneati ostruendo il canale che Eracle aveva scavato per farvi scorrere l’eccesso d’acqua piovana, e allagò la città. È assai diffusa una versione del tutto diversa di questi avvenimenti, e cioè che Lieo l’Eubeo, figlio di Posidone e di Dirce, attaccò Tebe durante una rivolta, uccise re Creonte e usurpò il trono. Convinto che Eracle fosse morto (tale notizia gli era stata data da Copreo), Lieo cercò di sedurre Megara e poiché essa gli resisteva, l’avrebbe uccisa con i suoi figli se Eracle non fosse ritornato dal Tartaro appena in tempo per vendicarsi di Lieo. Ma Era, che prediligeva Lieo, fece impazzire Eracle: egli uccise allora Megara e i propri figlioletti e anche il suo amante, l’Etolo Stichio. I Tebani, che mostrano ancor oggi le tombe dei fanciulli, dicono che Eracle avrebbe ucciso in quella circostanza anche il suocero Anfitrione, se Atena non gli avesse ridato il senno picchiandogli sul capo una grossa pietra, e la indicano aggiungendo: «L’abbiamo soprannominata ‘Castigatrice’». Anfitrione, in verità, era morto molto tempo prima, durante la guerra orcomena. Gli Ateniesi sostengono che Teseo, grato a Eracle che lo aveva liberato dal Tartaro, arrivò in quel
frangente con un esercito ateniese, per dar man forte a Eracle contro Lieo. Rimase come annichililo dinanzi a
quella strage, tuttavia promise a Eracle tutti gli onori finché fosse vissuto e anche dopo la sua morte e lo condusse ad Atene, dove Medea lo guarì dalla follia con potenti medicine. E Sicalo lo purificò di nuovo.

Vai a: Il mito di Eracle (Parte 4 di 11): Onfale la regina della Lidia

ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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