Le dodici fatiche di Eracle: 5) Le stalle di Augia; 6) Gli uccelli della palude di Stinfalo

Le dodici fatiche di Eracle: 5) Le stalle di Augia; 6) Gli uccelli della palude di Stinfalo

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Le dodici fatiche di Eracle: 3) La cerva di Cerinea; 4) Il cinghiale Erimanzio

Quinta Fatica di Eracle fu di ripulire in un solo giorno le sozze stalle di Augia. Euristeo con gioia maligna già si immaginava Eracle costretto a raccogliere lo sterco in canestri e a portarseli via sulle spalle. Augia, re di Elide, era figlio di Elio o Eleo e di Naupiadama, una delle figlie di Anfidamante, benché altri pensino che sua madre fosse Ifiboe e altri ancora lo dicano figlio di Poseidone. In greggi e mandrie era l’uomo più ricco della terra; poiché, per divino favore, le sue bestie erano immuni da malattie e prodigiosamente fertili, né mai abortivano. Sia vacche sia pecore generavano quasi sempre femmine, tuttavia Augia possedeva trecento tori neri dalle candide zampe e duecento stalloni di pelo fulvo; inoltre, dodici eccezionali tori bianco-argentei sacri a suo padre Elio. Questi dodici tori difendevano le mandrie dall’assalto delle bestie feroci che a volte scendevano dalle boscose colline. Ora, per molti anni nessuno aveva mai ripulito dallo sterco le stalle e gli ovili di Augia e, benché il puzzo nefasto non fosse nocivo per le bestie, fece scoppiare una pestilenza nell’intero Peloponneso. Inoltre, le valli dove le mandrie pascolavano erano coperte da uno strato di sterco così alto che non si poteva più ararle per seminarvi il grano. Eracle chiamò Augia da lontano e gli propose di ripulirgli le stalle prima del calar del sole in cambio di un decimo del suo bestiame. Augia rise incredulo, e convocò Fileo, il suo figliolo maggiore, perché fosse testimone della proposta di Eracle. «Giura allora di compiere questa impresa prima del calar del sole», disse Fileo. Il giuramento che Eracle pronunciò in nome di suo padre fu il primo e l’ultimo della sua vita. Augia similmente giurò di tenere fede al patto. A questo punto Fetonte, il capo dei dodici tori bianchi, caricò Eracle scambiandolo per un leone. Eracle afferrò il toro per il corno sinistro, gli forzò il capo all’indietro e lo stese a terra. Seguendo il consiglio di Menedemo l’Eleo, e aiutato da Iolao. Eracle dapprima aprì due brecce nelle mura della stalla e poi deviò il corso dei vicini fiumi Alfeo e Peneo o Menio, di modo che le loro acque invasero le stalle e i cortili, ne spazzarono via tutto il sudiciume e avanzarono ancora impetuose per ripulire gli ovili e la vallata adibita a pascolo. Così Eracle compì la sua Fatica in un solo giorno, risanando l’intero paese e senza sporcarsi nemmeno il mignolo. Ma Augia, saputo che Eracle aveva già ricevuto da Euristeo l’ordine di ripulire le stalle, rifiutò di versargli la ricompensa promessa e osò persino negare di aver stretto un patto con lui. Eracle allora propose che il caso fosse sottoposto ad arbitrato. Tuttavia, quando i giudici si furono insediati e Fileo, citato da Eracle, testimoniò il vero, Augia balzò in piedi livido per la rabbia e li bandì ambedue dall’Elide, affermando che Eracle l’aveva tratto in inganno, poiché il lavoro era stato compiuto dagli dei Fiumi, e non da lui stesso. Peggio ancora Euristeo rifiutò di considerare valida quella fatica, perché Eracle era stato assoldato da Augia. Fileo allora si recò a Dulichio, ed Eracle alla corte di Dessameno, re di Oleno; più tardi salvò la figlia di Dessameno, Mnesimache, dagli assalti del Centauro Funzione.

Sesta Fatica di Eracle fu di cacciare gli innumerevoli uccelli dai becchi di bronzo, dagli artigli di bronzo, dalle ali di bronzo, divoratori di uomini e sacri ad Ade che, spaventati dai lupi del burrone dei lupi, lungo la strada di Orcomeno, avevano invaso la palude Stinfalia. Colà essi vivevano lungo le rive del fiume dallo stesso nome, e di quando in quando si alzavano nell’aria simili a oscura nube, uccidevano uomini e animali lasciando cadere una pioggia di piume di bronzo, e al tempo stesso defecando un escremento velenoso che bruciava le messi. Giunto alla palude che era circondata da fitte selve, Eracle si accorse che non poteva cacciare gli uccelli con le sue frecce, perché erano troppo numerosi. Inoltre, la palude non pareva né abbastanza bassa perché un uomo vi si potesse addentrare a piedi, né abbastanza profonda per permettere l’uso di una barca. Mentre Eracle indugiava incerto sulla riva, Atena gli diede un paio di nacchere di bronzo, fabbricate da Efesto; o forse si trattava di un sonaglio. Salito su uno sperone roccioso del monte Cillene, che sovrasta la palude. Eracle batté l’una contro l’altra le nacchere, oppure scosse il sonaglio, con tale clangore che gli uccelli si alzarono subito in volo, pazzi di terrore. Eracle li uccise a dozzine mentre volavano verso le isole di Are nel Mar Nero, dove più tardi furono trovati dagli Argonauti. Taluni dicono che Eracle era con gli Argonauti a quell’epoca e uccise molti altri uccelli. Gli uccelli Stinfali sono grandi pressappoco come gru e assomigliano molto agli ibis, ma i loro becchi diritti possono forare una corazza di metallo. Vivono anche nel deserto arabico e laggiù li considerano ancor più pericolosi dei leoni e dei leopardi, perché si abbattono sui petti dei viaggiatori e li trafiggono. I cacciatori arabi hanno imparato a indossare speciali corazze di corteccia intrecciata, dove i becchi esiziali di tali uccelli si impigliano e l’uomo aggredito può così stringerli per il collo. È probabile che uno stormo volasse dall’Arabia alla palude Stinfalia e l’intera specie ne prendesse il nome. Secondo altre versioni, i cosiddetti uccelli Stinfali erano donne, figlie di Stinfalo e di Ornite che Eracle uccise, perché gli rifiutarono l’ospitalità. A Stinfalo, nell’antico tempio di Artemide Stinfalia, simulacri di questi uccelli sono appesi al soffitto e dietro l’edificio si trovano statue di fanciulle con gambe di uccello. Colà Temeno, un figlio di Pelasgo, fondò tre templi in onore di Era; nel primo essa era onorata come Fanciulla, perché Temeno l’aveva allevata; nel secondo come Sposa, perché si era unita a Zeus; nel terzo come Vedova, perché aveva ripudiato Zeus ritirandosi a Stinfalo.

Vai a: Le dodici fatiche di Eracle: 7) Il toro di Creta; 8) Le cavalle carnivore di Diomede

ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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