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Il mito di Atena

Il mito di Atena

Il racconto del mito di Atena è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 21: Atena – La dea invincibile.

Secondo i Pelasgi, la dea Atena nacque presso il lago Tritonide in Libia, dove fu raccolta e nutrita da tre ninfe di quella regione, che vestivano pelli di capra. Ancora fanciulla uccise incidentalmente la sua compagna di giochi Pallade mentre si era impegnata con lei in uno scherzoso combattimento, armata di lancia e di scudo, e in segno di lutto aggiunse il nome di Pallade al proprio. Taluni Elleni, invece, dicono che Atena ebbe un padre chiamato Pallade, un gigante alato a forma di caprone, che in seguito tentò di usarle violenza; ma la dea, strappategli le ali che si applicò alle spalle, e la pelle con cui si fabbricò l’egida, aggiunse il nome di Pallade al proprio, a meno che, come altri sostengono, l’egida non fosse stata fatta con la pelle della Gorgone Medusa, che Atena scorticò dopo che Perseo l’ebbe decapitata.

 

Altri dicono che suo padre fosse un certo Itono, re di Itone nella Ftiotide, e che Atena uccise inavvertitamente Iodama, figlia di codesto re, lasciando che vedesse la testa della Gorgone mentre oltrepassava di notte il sacro recinto: e subito Iodama si trasformò in pietra. Altri ancora sostengono che il padre di Atena fosse Poseidone, ma che la dea lo rinnegò e chiese di essere adottata da Zeus, e Zeus volentieri acconsentì. Ma i sacerdoti di Atena narrano così la storia della sua nascita: Zeus inseguiva voglioso la Titanessa Metis che per sfuggirgli assunse diverse forme, ma infine fu raggiunta e fecondata. Un oracolo della Madre Terra disse che sarebbe nata una figlia e che, se Metis avesse concepito una seconda volta, sarebbe nato un figlio destinato a detronizzare Zeus così come Zeus aveva detronizzato Crono, e come Crono aveva detronizzato Urano. Zeus allora, dopo aver indotto Metis, con melate parole, a giacere accanto a lui, improvvisamente spalancò la bocca e la inghiottì, e questa fu la fine di Metis, né più si seppe nulla di lei, benché Zeus sostenesse che dal fondo del suo ventre essa gli dava a volte preziosi consigli. A tempo debito. Zeus fu colto da un terribile dolore di capo mentre camminava lungo le rive del lago Tritone, e gli parve che il suo cranio dovesse scoppiare, e ululò per il dolore tanto da destare gli echi del firmamento. Subito accorse Ermes, che indovinò la causa della pena di Zeus. Egli indusse dunque Efesto o, come altri sostengono. Prometeo, a munirsi di ascia e di maglio per aprire una fessura nel cranio di Zeus, ed ecco balzar fuori Atena, tutta armata, con un potente grido.

Atena inventò il flauto, la tromba, il vaso di terracotta, l’aratro, il rastrello, il giogo per i buoi, la briglia per i cavalli, il cocchio e la nave. Fu la prima a insegnare la scienza dei numeri e tutte le arti femminili, come il cucinare, il filare e il tessere. Benché dea della guerra, essa non gode delle sanguinose battaglie, come invece accade ad Ares e a Eris ma preferisce appianare le dispute e far rispettare la legge con mezzi pacifici. Non porta armi in tempo di pace e qualora ne abbia bisogno le chiede in prestito a Zeus. La sua misericordia è grande. Se nei processi che si svolgono all’Areopago i voti dei giudici sono pari, essa di solito aggiunge il proprio per ottenere l’assoluzione dell’accusato. Ma se si trova impegnata in guerra non perde mai una battaglia, sia pure contro lo stesso Ares, perché più esperta di lui nell’arte strategica; i capitani accorti si rivolgono sempre a lei per avere consiglio. Molti dei. Titani o Giganti avrebbero volentieri sposato Atena, ma essa rifiutò tutte le loro proposte.

In una certa occasione, durante la guerra troiana, non volendo chiedere in prestito le armi a Zeus che si era dichiarato neutrale, pregò Efesto di fabbricarle un’armatura. Efesto rifiutò di essere pagato, dicendo astutamente che si sarebbe assunto l’incarico per amore; Atena non afferrò il significato di quella frase e, quando si recò nella fucina di Efesto per vederlo battere col martello sul metallo arroventato, il dio all’improvviso si volse e cercò di usarle violenza. Efesto, che di solito non si comportava in modo tanto grossolano, era vittima di uno scherzo crudele: Poseidone l’aveva informato che Atena stava dirigendosi verso la fucina, col consenso di Zeus, sperando che Efesto facesse all’amore con lei. Quando Atena si divincolò da Efesto, questi eiaculò sulla sua coscia, un po’ al disopra del ginocchio. La dea si ripulì dallo sperma con una manciata di lana, che gettò via disgustata: la lana cadde al suolo presso Atene e casualmente fecondò la Madre Terra che si era recata in visita colà. Ribellandosi all’idea di avere un figlio che Efesto avrebbe voluto generare in Atena, la Madre Terra rifiutò ogni responsabilità per la sua educazione. «E va bene», disse Atena, «me ne occuperò io». Prese infatti sotto la sua protezione il bimbo appena nato, lo chiamò Erittonio e, per evitare che Poseidone ridesse del successo della sua burla grossolana, lo celò in un cesto che affidò ad Aglauro, figlia maggiore del re d’Atene, Cecrope, raccomandandole di averne cura.

Atena, modesta quanto Artemide, è molto più generosa. Quando Tiresia, un giorno, la sorprese per caso intenta a fare il bagno, essa gli posò le mani sugli occhi e lo accecò, compensandolo tuttavia col dono della chiaroveggenza. Si dice che in una sola occasione Atena diede prova di incontrollata invidia. Aracne, una principessa di Colofone in Lidia, città famosa per la sua porpora, era così esperta nell’arte della tessitura che nemmeno Atena poteva competere con lei. Quando le mostrarono un mantello dove Aracne aveva intessuto scene d’amore tra gli olimpi, Atena lo scrutò attentamente per scoprirvi degli errori, e non trovandone alcuno lo lacerò furibonda. Quando Aracne, avvilita e atterrita, si impiccò a una trave, Atena la trasformò in un ragno (l’insetto che più le è inviso) e tramutò la corda in una ragnatela; Aracne vi si arrampicò salvandosi la vita.

ll mito di Atena, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Recensione: Atena – La dea invincibile

Recensione: Atena – La dea invincibile

“Comincio a cantare Pallade Atena, la gloriosa dea dagli occhi splendenti, ingegnosa, dal cuore inflessibile, vergine casta, signora dell’Acropoli, intrepida Tritogenia; il saggio Zeus la generò da sola, dal suo capo venerabile, rivestita già delle armi di guerra dorate e lucenti.” (Inni Omerici)

Dal risvolto di copertina: “Divinità guerriera dall’incredibile origine: Zeus infatti temendo la nascita di un figlio che avrebbe potuto divenire più potente di lui, ingoiò la prima moglie Metis, figlia dell’Oceano e personificazione della ragione e dell’intelligenza, incinta di Atena che così nacque dalla testa del padre, aperta all’uopo da Efesto con un’accetta. Atena, figlia prediletta del padre degli dèi, nacque già adulta, armata di lancia e scudo, e i simboli sacri che le vennero riferiti sono la civetta e l’ulivo. La dea, infatti, ha sempre con sé la sua civetta, o nottola, e indossa una corazza, realizzata con la pelle della capra Amaltea, chiamata egida e donatale dal padre Zeus. Platone rifersice, nel dialogo Cratilo, un’etimologia del nome che significherebbe “la mente di dio”. Atena, inoltre, è legata indissolubilmente alla città di Atene, che, non solo ha preso il suo nome dalla dea, ma i suoi valori religiosi, civici e politici sono come rappresentati in maniera simbolica nelle vicende mitiche che la riguardano.”

Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “L’epiteto più noto con cui è descritta Atena, quanto meno in Omero, è “Glaucopide”, cioè “dagli occhi verdeazzurro”, come le civette (ed è possibile che in epoche molto remote fosse identificata con una dea-civetta): una civetta simboleggiante Atena era appunto stampata sulle dracme ateniesi. Atena è una divinità civilizzatrice, colei che accompagna gli esseri umani verso forme superiori di cultura: fu lei a favorire la costruzione della prima nave che abbia solcato i mari, Argo, su cui si imbarcò Giasone con i suoi compagni; è sempre lei che ispira e protegge artisti, orefici e vasai, che la invocano come patrona della loro arte.’”

Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura (con una ricca antologia di testi classici sul mito), pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Atena è curato da Adele Teresa Cozzoli, professoressa di Letteratura greca presso l’Università di Roma Tre.

L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.

Il racconto del mito di Atena
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Teseo e le Amazzoni (Mito di Teseo – Parte 6 di 6)

Teseo e le Amazzoni (Mito di Teseo – Parte 6 di 6)

Il racconto del mito di Teseo è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 16: Teseo – Lo stato e le donne.

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Teseo sul trono di Atene (Mito di Teseo – Parte 5 di 6)

Taluni dicono che Teseo partecipò alla spedizione di Eracle contro le Amazzoni e gli spettò, come parte del bottino, la regina Antiope, detta anche Melanippa; la sorte di questa regina non fu così triste come molti supponevano, poiché essa tradì la città di Temiscira sul fiume Termodonte consegnandola a Teseo, come prova di un amore che già essa nutriva segretamente per lui. Altri dicono che Teseo si recò al paese delle Amazzoni molti anni dopo, in compagnia di Piritoo e di altri amici; e che le Amazzoni, rallegrate dall’arrivo di così aitanti guerrieri, non si opposero a essi con la violenza. Antiope anzi volle offrire dei doni a Teseo, ma non appena ebbe messo piede sulla nave, egli ordinò di salpare l’ancora e rapì la regina. Altri ancora dicono che Teseo soggiornò per qualche tempo in Amazzonia e accolse Antiope come sua ospite. Aggiungono che tra i compagni di Teseo vi erano tre fratelli ateniesi, Euneo, Toante e Soloòne; quest’ultimo si innamorò di Antiope ma, non osando dichiararsi, pregò Euneo di dar voce alle sue speranze. Antiope respinse le proposte del giovane, pur continuando a trattarlo con cortesia, e soltanto quando Soloòne si annegò nel fiume Termodonte, Teseo si rese conto di ciò che stava accadendo, e ne rimase angosciato. Rammentando un avvertimento dell’oracolo delfico, e cioè che semmai egli si fosse trovato molto afflitto in un paese straniero avrebbe subito dovuto fondare una città affidandone il governo ai suoi compagni, edificò Pitopoli in onore di Apollo Pizio e chiamò Soioòne il fiume che scorreva nei pressi. Colà egli lasciò Euneo, Toante e un certo Ermo, nobile ateniese, la cui vecchia residenza in Pitopoli è ora erroneamente chiamata «casa di Ermete». Poi ripartì con Antiope. La sorella di Antiope, Orizia, confusa da taluni con quell’Ippolita cui Eracle sottrasse la cintura, giurò di vendicarsi di Teseo. Essa strinse un patto d’alleanza con gli Sciti, guidò un forte esercito di Amazzoni sulla superficie gelata del Bosforo Cimmerio, attraversò il Danubio e passò in Tracia, in Tessaglia e in Beozia. Giunta ad Atene, si accampò sull’Areopago e sacrificò ad Ares: questo episodio, secondo taluni, avrebbe dato il nome alla collina; Orizia ordinò poi a un distaccamento di invadere la Laconia per scoraggiare ogni tentativo dei Peloponnesiaci di portare rinforzi a Teseo attraverso l’istmo. Le forze ateniesi erano già riunite, ma ne l’una ne l’altra parte osava dare inizio alle ostilità. Infine, per consiglio di un oracolo, Teseo sacrificò a Fobo, figlio di Ares, e attaccò battaglia il settimo giorno del mese di Boedromione, il giorno cioè in cui ora si celebrano le Boedromie ad Atene, benché taluni dicano che a quel tempo già si celebrasse tale festa in ricordo della vittoria ottenuta da Suto su Eumolpo, durante il regno di Eretteo. Le truppe delle Amazzoni erano schierate tra l’attuale Tomba delle Amazzoni e la collina Pnice presso Crisa. L’ala destra di Teseo mosse dal Museo e piombò sull’ala sinistra avversaria, ma fu messa in rotta e costretta a ritirarsi fino al Tempio delle Furie. Questo episodio è ricordato da una pietra eretta dal comandante locale Calcodonte, in una strada lastricata dalle tombe dei caduti e intitolata appunto a Calcodonte. L’ala sinistra dello schieramento ateniese invece sferrò l’assalto dal Palladio, dal monte Ardetto e dal Liceo, e respinse le Amazzoni nei loro accampamenti, infliggendo loro gravi perdite.

Taluni dicono che le Amazzoni chiesero la pace soltanto dopo quattro mesi di asprissima lotta; l’armistizio, concluso con giuramento presso il Tempio di Teseo, è ancora commemorato col cosiddetto sacrificio amazzonico nella ricorrenza della festa di Teseo. Ma altri dicono che Antiope, ormai moglie di Teseo, si batté eroicamente al suo fianco, finché fu uccisa da un dardo di Molpadia; che Orizia con poche compagne fuggì a Megara, dove morì di dolore; e che le Amazzoni superstiti, respinte dall’Attica, si stabilirono in Scizia. Quella, a ogni modo, fu la prima volta che gli Ateniesi respinsero invasori stranieri. Talune delle Amazzoni rimaste ferite sul campo furono mandate in Calcide per esservi curate. Antiope e Molpadia vennero sepolte presso il tempio della Madre Terra e un pilastro di terra battuta indica la tomba di Antiope. Altre giacciono nella Tomba delle Amazzoni. Le Amazzoni che caddero mentre percorrevano la Tessaglia riposano tra Scotussea e Cinocefale; altre ancora a Cheronea, presso il fiume Emone. Nella regione pirrica della Laconia un santuario indica il luogo dove le Amazzoni si fermarono nel corso della loro avanzata per consacrare due simulacri lignei ad Artemide e ad Apollo; e a Trezene un tempio di Ares ricorda la vittoria di Teseo sul distaccamento che tentava di aprirsi sull’istmo la via del ritorno. Secondo un’altra versione, le Amazzoni entrarono in Tracia attraverso la Frigia e non attraverso la Scizia, e fondarono il santuario di Artemide Efesia mentre marciavano lungo la costa. Secondo una terza versione, esse si erano già rifugiate in quel santuario in due precedenti occasioni: mentre fuggivano all’ira di Dioniso e dopo la vittoria di Eracle sulla regina Ippolita; e i veri fondatori del tempio sarebbero Creso ed Efeso. In verità, pare che Antiope sopravvivesse alla guerra, e Teseo fu costretto a ucciderla, così come l’oracolo di Delfi aveva predetto, quando si alleò con re Deucalione di Creta e ne sposò la sorella Fedra. La gelosa Antiope, che non era la moglie legittima di Teseo, interruppe il banchetto nuziale irrompendo nella sala in assetto di guerra e minacciando di massacrare gli invitati. Teseo e i suoi compagni chiusero in gran fretta le porte e uccisero Antiope, benché essa avesse generato a Teseo Ippolito, detto anche Demofoonte, né mai si fosse giaciuta con altro uomo.

ll mito di Teseo, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Teseo sul trono di Atene (Mito di Teseo – Parte 5 di 6)

Teseo sul trono di Atene (Mito di Teseo – Parte 5 di 6)

Il racconto del mito di Teseo è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 16: Teseo – Lo stato e le donne.

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Teseo a Creta (Mito di Teseo – Parte 4 di 6)

Quando Teseo succedette al padre suo Egeo sul trono di Atene, rafforzò il proprio potere mettendo a morte quasi tutti i rivali, salvo Pallade e quanti dei suoi cinquanta figli erano sopravvissuti. Alcuni anni dopo, tuttavia, egli uccise anche costoro per misura precauzionale; accusato di assassinio presso il tribunale di Apollo il Delfino, si difese dicendo che si trattava di «omicidio giustificabile», una scusa mai addotta prima d’allora, e fu assolto. Si recò poi a Trezene, dove regnava suo figlio Ippolito, per esservi purificato, e rimase là un anno intero. Al ritorno, sospettò della lealtà di un fratellastro, chiamato anch’egli Pallade, e subito lo esiliò. Teseo si rivelò un sovrano illuminato e iniziò la politica della federazione che fu l’origine dello splendore di Atene. Fino a quei tempi l’Attica era stata divisa in dodici comunità e ciascuna si amministrava senza ricorrere al re d’Atene, se non nei casi di emergenza. Gli Eleusini avevano persino dichiarato guerra a Eretteo e le lotte intestine non si contavano. Per indurre queste comunità a rinunciare alla loro indipendenza, Teseo doveva affrontare a uno a uno i capi delle tribù e dei gruppi familiari, e così fece. Trovò i servi e i piccoli proprietari disposti a obbedirlo e si conquistò le simpatie di molti grandi proprietari quando promise di abolire la monarchia sostituendola con la democrazia, pur riservando per sé i titoli di comandante in capo e di giudice supremo. E infine usò la forza contro coloro che ancora si opponevano al suo progetto. Teseo fu investito così del potere di sciogliere tutti i governi locali, dopo aver convocato i loro delegati ad Atene, dove istituì il Gran Concilio e la Corte Suprema, che esistono tuttora. Ma non volle interferire nelle leggi che governano la proprietà privata. Unì poi i sobborghi di Atene alla città vera e propria che, fino a quel giorno, si componeva dell’Acropoli e dell’immediata zona circostante e comprendeva i templi di Zeus Olimpio, di Apollo Pizio, della Madre Terra, di Dioniso delle Paludi e l’acquedotto delle ove Sorgenti. Gli Ateniesi chiamano ancora l’Acropoli «la città». Teseo volle che il sedicesimo giorno del mese Ecatomeone (luglio) fosse detto «Giorno della Federazione» e vi si celebrasse una festa in onore di Atena, con sacrifici incruenti offerti alla Pace. Ai Giochi Ateniesi diede il nuovo nome di «Panatenee» e tutta l’Attica poteva parteciparvi; Teseo introdusse anche il culto di Afrodite Federale e della Persuasione. Poi, rinunciando al trono, come aveva promesso, diede all’Attica una nuova costituzione, e sotto i migliori auspici: l’oracolo delfico aveva infatti profetizzato che Atene avrebbe solcato il procelloso mare senza pericolo.

Per favorire lo sviluppo della città, Teseo invitò tutti gli stranieri che ne riteneva degni a divenire suoi concittadini. I suoi araldi, che percorsero l’intera Grecia, lanciavano un richiamo ancora in uso: «Fatevi avanti, o gente!» Molti stranieri affluirono dunque ad Atene e Teseo divise la popolazione in tre classi; gli Eupatridi, ossia coloro che «bene meritarono dalla patria»; i Georgi, ossia i contadini, e i Demiurghi, o artefici. Gli Eupatridi occupavano le cariche più alte: erano sacerdoti, magistrati, interpreti della legge; i Georgi coltivavano la terra ed erano la spina dorsale della nazione; i Demiurghi, che formavano la classe più numerosa, erano artigiani di ogni tipo, carpentieri, araldi, chirurghi, indovini, scultori e sarti. Così Teseo fu il primo re che fondò una comunità sociale bene organizzata e per questa ragione Omero, nel Catalogo delle Navi, indica gli Ateniesi come il solo popolo sovrano; la sua costituzione rimase in vigore finché i tiranni si impadronirono del potere. Taluni tuttavia negano che questa tradizione corrisponda alla verità; essi dicono che Teseo continuò a regnare come prima e che, dopo la morte di re Menesteo che guidò gli Ateniesi contro Troia, la sua dinastia durò per altre tre generazioni. Teseo, il primo re ateniese che batté moneta, usò come conio l’immagine di un toro. Non si sa se questo animale rappresentasse Poseidone o Tauro, il generale di Minosse; oppure se fosse un simbolo propiziatorio per l’agricoltura; ma determinò tuttavia una scala di valori indicata dai termini «dieci buoi» o «cento buoi» e che fu usata per molto tempo. Emulando Eracle, che aveva nominato Zeus patrono dei Giochi Olimpici, Teseo nominò Poseidone patrono dei Giochi Istmici. Fino a quel giorno patrono di quei giochi era stato Melicerte figlio di Ino e i giochi stessi, che si celebravano nottetempo, avevano più il carattere di misteri che di pubblico spettacolo. Inoltre, Teseo riaffermò la sovranità di Atene su Megara e, convocati sull’istmo i delegati del Peloponneso, riuscì a imporre il proprio parere per dirimere una vecchia questione di confini tra i Peloponnesiaci e i loro vicini Ioni. In un luogo prescelto con pieno accordo dalle due parti, egli innalzò la famosa colonna sul cui lato orientale era scritto: «Questo non è Peloponneso, ma Ionia», e sul lato occidentale: «Questa non è Ionia, ma Peloponneso». Ottenne altresì che Corinto concedesse agli Ateniesi il posto d’onore nei Giochi Istmici; tale posto d’onore consisteva in tanto spazio di terreno quanto poteva esserne coperto dalla vela maestra della nave che aveva portato gli Ateniesi all’istmo.

Vai a: Teseo e le Amazzoni (Mito di Teseo – Parte 6 di 6)

ll mito di Teseo, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Teseo a Creta (Mito di Teseo – Parte 4 di 6)

Teseo a Creta (Mito di Teseo – Parte 4 di 6)

Il racconto del mito di Teseo è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 16: Teseo – Lo stato e le donne.

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Teseo e Medea (Mito di Teseo – Parte 3 di 6)

Non si sa con certezza se Egeo fu indotto da Medea a mandare Teseo contro il feroce toro bianco di Poseidone, oppure se, dopo la cacciata della maga da Atene, Tese stesso si assunse il compito di eliminare il mostro per propiziarsi le simpatie degli Ateniesi. Giunto con Eracle da Creta, lasciato libero nella pianura d’Argo e passato di là, attraverso l’istmo, nella regione di Maratona, il toro aveva ucciso centinaia d’uomini tra le città di Probalinto e Tricorinto, compreso (come taluni dicono) il figlio di Minosse, Androgeo. Tuttavia Teseo audacemente afferrò quelle esiziali corna tra le mani e trascinò il toro per le vie d’Atene fino all’Acropoli, dove sacrificò l’animale ad Atena o ad Apollo. In espiazione della morte di Androgeo, Minosse volle che gli Ateniesi inviassero ogni nove anni (e cioè al termine di ogni Grande Anno) sette fanciulli e sette fanciulle nel Labirinto di Creta, dove il Minotauro li avrebbe divorati. Questo Minotauro, che si chiamava Asterie o Asterione, era il mostro dalla testa di toro generato da Pasifae e dal toro bianco. Poco dopo l’arrivo di Teseo in città, gli Ateniesi avrebbero dovuto pagare per la terza volta il gravoso tributo e lo spettacolo dei genitori angosciati all’idea di separarsi per sempre dai loro figli era così triste che Teseo si offrì come vittima volontaria, benché Egeo cercasse in ogni modo di dissuaderlo da tale proposito. Altri invece dicono che il suo nome fu estratto a sorte; e, secondo altri ancora, lo stesso Minosse accompagnato da una grande flotta sarebbe giunto ad Atene per scegliere le vittime; il suo sguardo si posò su Teseo il quale, benché nato a Trezene e non Atene, si offrì di unirsi alle vittime a patto che se fosse riuscito ad abbattere il Minotauro con le sole mani Atene sarebbe stata esentata dal tributo.

Nei due viaggi precedenti, le navi che portavano le vittime a Creta avevano inalberato vele nere, ma Teseo si sentiva certo del favore degli dei ed Egeo gli affidò dunque una vela bianca, perché la inalberasse al ritorno, in segno di vittoria; altri dicono che si trattava di una vela rossa, tinta nel sugo delle bacche di cocciniglia. Quando i nomi delle vittime furono estratti a sorte dinanzi al tribunale supremo, Teseo guidò i suoi compagni al Tempio del Delfino dove, in nome di tutti, offrì ad Apollo un ramo di olivo avvolto in un filo di lana bianca, Le quattordici madri portarono le provviste per il viaggio e narrarono ai loro figli favole prodigiose ed eroiche per rincuorarli. Teseo sostituì a due delle fanciulle dei giovanetti dall’aspetto effeminato ma dotati di insolito coraggio e presenza di spirito. Raccomandò loro di fare dei bagni caldi, di evitare i raggi solari, di profumarsi il corpo e i capelli con oli ed essenze, e di imitare l’incedere e il gestire delle donne. Riuscì così a ingannare Minosse e a far credere che quei due fossero fanciulle.

II favore di Afrodite accompagnava Teseo; non soltanto Peribea e Ferebea invitarono il cavalleresco giovane a giacersi con loro e non furono respinte, ma la stessa figlia di Minosse, Arianna, si innamorò di lui a prima vista. «Ti aiuterò a uccidere il mio fratellastro, il Minotauro», essa gli promise in segreto, «purché io possa ritornare con te ad Atene, come tua moglie». Teseo accettò con piacere questa proposta e giurò di sposare Arianna. Ora, prima di lasciare Creta, Dedalo aveva donato ad Arianna un gomitolo di filo magico, spiegandole come sarebbe potuta entrare e uscire dal Labirinto; essa doveva aprire la porta di ingresso e assicurare allo stipite un capo del filo; il gomitolo si sarebbe poi srotolato via via negli intricati recessi, fino alla camera segreta dove si trovava il Minotauro. Arianna diede il gomitolo a Teseo e gli raccomandò di seguire il filo finché avesse sorpreso il Minotauro addormentato; avrebbe potuto così afferrare il mostro per i capelli e sacrificarlo a Poseidone. Arrotolando poi il filo in gomitolo, sarebbe giunto di nuovo alla porta d’ingresso. Quella notte stessa Teseo fece quanto gli era stato detto, ma non si sa con certezza se egli uccise il Minotauro con la spada donatagli da Arianna o con le nude mani o con la sua famosa clava. Un bassorilievo ad Amicle ci mostra il Minotauro legato e portato in trionfo ad Atene; ma questa versione non è accettata da tutti. Quando Teseo, con le vesti macchiate di sangue, emerse dal Labirinto, Arianna lo abbracciò appassionatamente e guidò il gruppo di tutti gli Ateniesi al porto. Nel frattempo, infatti, i due giovani dall’aspetto effeminato avevano ucciso le guardie dinanzi all’appartamento delle donne, liberando le vergini. Salirono in fretta sulla nave, dove Nausiteo e Feace vegliavano in attesa, e si allontanarono rapidamente a forza di remi. Tuttavia, benché Teseo avesse aperto delle falle negli scafi cretesi per impedire che lo inseguissero, dovette affrontare una battaglia navale nelle acque del porto; per fortuna non subì perdite e riuscì a fuggire con il favore delle tenebre.

Alcuni giorni dopo, sbarcato nell’isola allora chiamata Dia e ora nota col nome di Nasso, Teseo abbandonò Arianna addormentata sulla spiaggia e riprese il largo senza di lei. Perché l’abbia fatto è rimasto un mistero. Taluni dicono che Teseo abbandonò Arianna per la sua nuova amante, Egle figlia di Panopeo; altri sostengono che, mentre venti contrari lo trattenevano a Dia, egli riflette sulla sua posizione e temette che l’arrivo di Arianna ad Atene suscitasse uno scandalo. Altri ancora dicono che Dioniso, apparso a Teseo in sogno, gli ordinò minacciosamente di abbandonargli Arianna e che Teseo, ridestatesi, vide la flotta di Dioniso avvicinarsi a Dia e salpò le ancore atterrito. Dioniso infatti, per opera di magia, gli aveva fatto dimenticare la promessa fatta ad Arianna e persino l’esistenza di lei. I sacerdoti di Dioniso ad Atene affermano che quando Arianna si trovò sola sul lido deserto ruppe in disperati lamenti, rammentando con quanta angoscia aveva assistito Teseo che si preparava ad affrontare il suo mostruoso fratellastro, e quali fervide preghiere aveva innalzato per il suo successo; per amore di Teseo, inoltre, essa aveva abbandonato i genitori e la patria. Invocò ora vendetta dall’intero universo e Zeus annuì consenziente. Ed ecco Dioniso con il suo gaio corteo di Satiri e Menadi giungere in aiuto di Arianna. Egli la sposò senza por tempo in mezzo, posandole sul capo la corona di Teti, e Arianna gli generò numerosi figli.

Teseo da Nasso salpò per Delo e colà sacrificò ad Apollo, celebrando giochi atletici in suo onore; in tale occasione anzi egli introdusse la nuova usanza di incoronare il vincitore con foglie di palma e di porgli uno stelo di palma nella mano destra. Consacrò altresì al dio una piccola statua lignea di Afrodite, opera di Dedalo, che Arianna aveva portato da Creta e lasciato a bordo della nave: gli Ateniesi infatti l’avrebbero accolta con commenti cinici. Questa statua, che ancora si mostra a Delo, poggia su una base quadrata anziché sui piedi ed è sempre inghirlandata. Arianna si vendicò ben presto di Teseo. Infatti, sia per il dolore di averla perduta, sia per la gioia di rivedere la costa dell’Attica che aveva potuto raggiungere soltanto dopo strenua lotta con i venti contrari, egli si scordò di inalberare la vela bianca. Egeo, che stava in vedetta sull’Acropoli dove sorge ora il Tempio della Vittoria non alata (Aptera), avvistò la vela nera, svenne e precipitò sfracellandosi nella valle sottostante. Ma altri dicono che egli si gettò volontariamente nel mare, che da quel giorno fu chiamato Egeo. Teseo non ebbe notizia di questa sventura finché non portò a termine i sacrifici promessi agli dei per il suo felice ritorno; seppellì poi Egeo e lo onorò con un santuario eroico. All’ottavo giorno del mese Pianepsione (ottobre), l’anniversario del ritorno di Teseo da Creta, gli Ateniesi scendono in folla alla spiaggia con delle pentole in cui fanno bollire diverse qualità di fave, per ricordare ai loro figli che Teseo, costretto a ridurre al minimo le razioni della ciurma, fece cuocere tutto assieme quanto restava delle provviste quando toccò terra, e gli uomini poterono finalmente riempirsi lo stomaco. In quella medesima festa si canta un inno di ringraziamento e si porta in processione un ramo d’olivo cinto di lana bianca e adorno di frutti di stagione, per ricordare l’altro ramo d’olivo che Teseo consacrò prima della partenza. Poiché la data cade nella stagione del raccolto, Teseo istituì anche la Festa dei tralci di vite, sia per onorare Atena e Dioniso che gli apparirono a Nasso, sia per onorare Dioniso e Arianna. I due giovani che reggono i rami rappresentano i giovani che Teseo portò con sé in Creta travestiti da fanciulle e che lo seguirono nella processione trionfale al suo ritorno. Quattordici donne reggono cesti di provviste e prendono parte al sacrificio: esse rappresentano le madri delle vittime tratte in salvo ed è loro compito narrare favole e antichi miti, come fecero quelle madri prima che la nave salpasse. Teseo consacrò un tempio ad Artemide Salvatrice nella piazza del mercato a Trezene, e i suoi concittadini lo onorarono con un santuario quand’egli era ancora in vita. Le famiglie che avrebbero dovuto pagare il tributo a Creta si assunsero l’incarico di fornire le vittime per i sacrifici, e Teseo affidò la cura sacerdotale del suo tempio ai Fitalidi, per ringraziarli della loro ospitalità.

Vai a: Teseo sul trono di Atene (Mito di Teseo – Parte 5 di 6)

ll mito di Teseo, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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