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L’inferiorità femminile è una costruzione epistemica

L’inferiorità femminile è una costruzione epistemica

Diceva Thomas Hobbes che «gli Stati sono istituiti dai padri e non dalle madri di famiglia». Pur ammettendo – unico fra i pensatori moderni – una naturale uguaglianza fra i sessi in termini di forza e intelligenza, il filosofo inglese constatava, con il suo solito realismo, che a comandare sono sempre stati gli uomini. Inutile girarci intorno, il potere ha sempre avuto e sempre avrà una connotazione essenzialmente maschile, ci ricorda Hobbes. Sarebbe perciò irrealistico pensare che il sapere che l’Occidente ha prodotto sul potere non sia maschilista o patriarcale, come si dice in un gergo ormai desueto. Si tratta di rapporti di forza, direbbe Foucault sulla scorta di Nietzsche. I maschi hanno sempre comandato, ergo i maschi hanno pure dettato le regole di trasmissione di un sapere che sistematizza i termini di quel comandare.

Da Aristotele a Rousseau, senza soluzione di continuità, si afferma in esso quanto segue: il maschio è il soggetto adatto a decidere, comandare, governare; la femmina a obbedire. I discorsi in cui quel sapere si formulava non si presentavano come proclami ideologici o pamphlet polemici, non erano insomma libri autoprodotti. Erano, al contrario, autorevoli esiti del sapere dotto, legittimo, universale. Hanno configurato una tradizione, la cui efficacia ancora si riverbera nella nostra sgangherata contemporaneità. Per fortuna un po’ scalfita, l’efficacia di quella tradizione, dal lento mutamento dei rapporti di forza. Gli studi femministi, negli ultimi decenni, sono divenuti parte essenziale di tale mutamento, producendo un sapere che ha finalmente demistificato la pretesa di validità universale della tradizione.

Il libro di Giulia Sissa Lerrore di Aristotele – Donne potenti, donne possibili, dai Greci a noi (Carocci editore «Sfere», pp. 375, euro 29,00), prosegue con grande capacità analitica dei testi antichi e moderni, l’opera di demistificazione. Anzi, oltre a farci scoprire un Aristotele meno conosciuto – quasi divertente – ne traccia l’ininterrotta influenza nella cultura europea medievale e moderna, attraverso la sua canonizzazione da parte del cristianesimo, la sua rielaborazione da parte dei pensatori moderni, tutti – o quasi – ancora del suo parere per quanto riguarda le donne. Ciò che Aristotele disse sulle donne, ad esempio ritorna, quasi immutato, nel moderno Rousseau, il quale afferma che esse, per natura, devono obbedire al maschio, essere mogli docili e fedeli, perché così la natura vuole.

Nel percorrere analiticamente una simile continuità, il libro di Sissa fa emergere con chiarezza una cosa che a noi oggi pare davvero straordinaria, persino divertente se non fosse stata così influente: le autorevoli e spassionate trattazioni della differenza fra i sessi si presentano nella storia del sapere come oggettive e scientifiche, senza che mai a nessuno dei dotti compilatori – Aristotele, Epitteto, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Rousseau, solo per fare alcuni nomi di autori che Sissa analizza con grande acume – venisse in mente di essere un po’ di parte. Nessuna donna entrò mai nei dibattiti sulla “natura” femminile, sarà per questo che tale natura è descritta sempre in termini passivi, subordinati, infidi e inaffidabili?

Come a dire, ogni produzione di sapere ha al suo interno una specifica dimensione di potere. Il libro di Sissa ci conduce in un appassionante viaggio nella costruzione del regime di verità patriarcale, nella fase del suo stabilizzarsi scientifico. Se oggi siamo, a detta di molte autorevoli pensatrici femministe, alla fine del patriarcato – di cui i femminicidi, gli stupri sarebbero i feroci colpi di coda – l’epoca di Aristotele fu invece la fase in cui il sapere maschile sul mondo – e soprattutto sulle donne – divenne episteme, scienza. Tale episteme, inutile dirlo, deve ad Aristotele – il grande sistematizzatore del sapere greco antico – la sua fortuna. Giulia Sissa ci racconta la costruzione epistemica dell’inferiorità femminile, e la racconta attraverso una minuziosa analisi dei testi. Del resto, nonostante Aristotele fosse, come detto, un sistematizzatore, un elencatore, egli si rivelò anche uno straordinario fornitore di immagini, di metafore, di modi di pensare che restituiscono, attraverso una interessante «logica del concreto», che la differenza sessuale si dà nei corpi, per natura. Ci sono delle specifiche disposizioni fisiche che determinano le posizioni politiche: la passionalità, l’esuberanza, in una parola la virtù politica antica per eccellenza, l’andreia, è sinonimo di virilità, di ciò che per natura caratterizza gli uomini (aner). E tale natura immediatamente determina la cultura: gli uomini hanno il sangue caldo, ma proprio per questo sono coraggiosi, risoluti, adatti a governare. Le donne, invece, pur essendo intelligenti, hanno una «complessione fredda» – non sono stupide ma molli, incapaci di decidere, «superflue, inutili, pericolose. Sono un ostacolo nella lotta come nell’arena politica». Anatomia e fisiologia decidono insomma delle sorti politiche delle donne (e degli uomini). Guarda un po’, la differenza sessuale! Perché essa gode di così poca stima oggi? Perché viene accusata di essere “essenzialista”, biologista, escludente? Forse perché, come si evince da questo bellissimo libro, ne abbiamo sempre avuto a disposizione una versione patriarcale, maschile, androcentrica. Una lettura dell’anatomia e della fisiologia tutta a vantaggio di chi, in effetti, ne scriveva, ovvero i maschi. Quando si dice i rapporti di forza.

Eppure, la cultura greco-antica, oltre Aristotele, nella sua straordinaria complessità e ricchezza, ci tramanda anche dell’altro, non è solo sistematizzazione patriarcale della “natura”. Figure di donne forti e risolute, capaci di decidere e di agire, di consigliare e temperare gli eccessi passionali di maschi molto caldi, o di incitare all’azione giusta maschi indecisi, fanno da contraltare alla narrazione fisiologica di Aristotele, nel teatro, nella storiografia, nella poesia. Giocasta delle Fenicie, Etra nelle Supplici, Antigone, sono donne che divergono dagli schemi patriarcali e mostrano, agli ateniesi che andavano a teatro, come a noi oggi, le possibilità della potenza femminile. Le narrazioni alternative, le letture possibili del femminile, i percorsi di libertà che le donne possono compiere, oltre gli stereotipi prodotti dall’episteme fisiologico-politica, iniziano già all’epoca dello stabilizzarsi di quell’episteme, di quel sapere che invece vuole irrigidire la differenza sessuale in una gerarchia. Il libro di Giulia Sissa argutamente combatte, con sapienza e ironia, quell’irrigidimento, dando ampio spazio alle potenzialità alternative di narrazioni del femminile.

Agli antipodi di Aristotele c’è, infine, come argomenta la studiosa negli ultimi due capitoli del libro, la luce della modernità, accesa innanzitutto dal pensatore seicentesco Poullain de la Barre, che per primo prende sul serio l’uguaglianza naturale di tutti gli esseri umani, insistendo sulla non naturalità di una inferiorità delle donne. Chi la predica è vittima del proprio pregiudizio – di uomo – o si ferma a semplici apparenze. Dopo di lui, un altro pensatore divergente è il marchese de Condorcet, che in epoca rivoluzionaria sostiene – isolato – la causa del diritto di cittadinanza alle donne, in virtù del fatto che non c’è in natura una inferiorità femminile. Si tratta, anche qui, solo di pregiudizio. Infatti, afferma Condorcet, i diritti scaturiscono esclusivamente dal fatto che gli esseri umani sono «esseri sensibili capaci di acquisire idee morali e ragionare su di esse». È solo frutto di pregiudizio affermare che le donne possano essere escluse da questa definizione universale, che siano incapaci di imparare, ragionare, decidere. La loro inferiorità non è per natura, ma è il prodotto di una specifica cultura, che le priva di adeguata educazione, come afferma, nello stesso periodo, Mary Wollstonecraft.

Insomma, solo poche voci maschili sostengono la causa delle donne, nella lunga storia della loro universale inferiorizzazione. Eppure, a esse – e all’apertura moderna che inaugurano – Sissa affida quella che lei chiama una «nota di ottimismo». Non ci sarà però speranza per il genere umano se la mascolinità non si sottoporrà a una demistificazione, uguale e contraria a quella che le donne hanno faticosamente intrapreso per sottrarsi alla presa invalidante della tradizione. È necessario, scrive Sissa, che anche il corpo maschile di cui Aristotele ci parla, «che si vuole onnipotente, quella virilità che crede che tutto sia permesso, quella soggettività per cui tutto dev’essere fattibile» venga messo in discussione. «Spostare lo sguardo critico su quel corpo vissuto al maschile non corrisponde a ciò che viene chiamato essenzialismo. Il corpo è una sfida, la si può raccogliere in modi diversi».

Olivia Guaraldo su “Alias – Il manifesto”, 10 settembre 2023 (noi l’abbiamo ripreso dal sito della Libreria delle donne di Milano, che ringraziamo! Andate regolarmente sul loro sito: ci sono sempre idee e articoli interessanti!)

Qui trovi il volume di Giulia Sissa Lerrore di Aristotele – Donne potenti, donne possibili, dai Greci a noi (Carocci editore «Sfere», pp. 375, euro 29,00)

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Simone Weil, la sua “Venezia salva” e la guerra in Ucraina

Simone Weil, la sua “Venezia salva” e la guerra in Ucraina

C’è una storia di un tempo passato che ci parla nel presente della guerra che da un anno infiamma l’Europa e di cui non si vede la fine. La racconta Simone Weil, una delle più grandi pensatrici del Novecento, nella sua tragedia Venezia salva, rimasta incompiuta, che lei scrisse nel 1940 a Vichy dove si era rifugiata con i genitori dopo l’entrata dei tedeschi a Parigi.

La storia narra che nel 1618 Bedmar, ambasciatore di Spagna a Venezia, ordì una congiura per dare Venezia al re di Spagna, allora signore di quasi tutta l’Italia. Egli affidò l’esecuzione del piano a Renaud, gentiluomo francese, e a Pierre, pirata provenzale, che sognavano “onori”, “dominio” e “possesso”.  Gran parte delle truppe mercenarie di guarnigione a Venezia e molti ufficiali, la maggior parte stranieri, al servizio di Venezia, furono coinvolti nella congiura, con promesse di denaro e onori. Il piano era di agire di sorpresa in piena notte, occupare la città, appiccare il fuoco in tutti i quartieri e uccidere tutti coloro che avrebbero tentato di resistere. La notte prescelta era quella della vigilia della Pentecoste. Accadde però che Jaffier, uno dei capi della congiura, la fece fallire denunciandola al Consiglio dei Dieci.

Saint-Réal, che aveva scritto la storia nel 1672, aveva interpretato il gesto di Jaffier come l’azione di un traditore, un vigliacco, un debole, da disprezzare secondo l’immaginario maschile che nella guerra accompagna l’eroe, il guerriero da onorare. «Valori» quali «nazione», «libertà», «democrazia”, «sicurezza nazionale», «difesa dei territori» utilizzati dagli uomini per giustificare le loro guerre «hanno come contenuto solo milioni di cadaveri, orfani, mutilati, disperazione e lacrime». Non ci sono guerre giuste, la guerra è sempre un crimine, è imperio della forza che distrugge, disumanizza, massacra, sradica chi scappa e uccide chi resta, è odio, foriero di nuovi conflitti e nuove guerre. Chi si rifiuta di combattere come gli obiettori di coscienza in Russia e in Ucraina, o le madri che impediscono ai figli di partire o di tornare al fronte, chi fugge o si nasconde per sottarsi alla proscrizione obbligatoria, non è che un vigliacco, un traditore.

È questo immaginario maschile che Jaffier abbandona divenendo per Simone «l’eroe perfetto», disprezzato, di cui il nostro tempo ha bisogno per cacciare la guerra dalla storia prima che una guerra nucleare, complici le donne di potere, cacci l’umanità dalla faccia della terra. Jaffier non si è mosso per tradire i suoi compagni, ma per pietà verso «la splendida città» che, ignara di quello che l’aspetta, le appare in tutta la sua «fragilità». Salvare una città, un paese, un popolo dalla catastrofe non è segno di resa o di debolezza ma di forza e di amore. La guerra in Ucraina non si è voluta evitare, anzi la si è preparata, non si è voluta fermare anzi è divenuta una guerra tra potenze nucleari. Scelta la strada della «resistenza», dell’invio di armi e delle sanzioni, a distanza di un anno non restano che città rase al suolo, milioni di profughi sradicati, centinaia di migliaia di morti di civili e di giovani costretti a combattere contro la loro volontà, legami familiari e parentali distrutti, un bene prezioso perduto per sempre. Non restano che macerie materiali e spirituali e un mondo che si arma per altre guerre e altri massacri. Nessuna pace è «vergognosa», nessuna condizione è inaccettabile per salvare una città, un paese, l’umanità. Ce lo insegna Simone Weil e la sua Venezia Salva.

Franca Fortunato su “Il Quotidiano del Sud”, 25 febbraio 2023 (noi l’abbiamo ripreso dal sito della Libreria delle donne di Milano, che ringraziamo! Andate regolarmente sul loro sito: ci sono sempre idee e articoli interessanti!)

Qui trovi il volume Venezia salva di Simone Weil

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