Category Archives: Dei e Dee

Brevi descrizioni di dee e dèi delle varie mitologie.

Odisseo a Rete Due

Odisseo a Rete Due

L’indimenticato Bekim Fehmiu nel ruolo di Odisseo nello sceneggiato RAI degli anni 70

RIPRENDIAMO LA PRESENTAZIONE DEL RADIODRAMMA (andato in onda da lunedì 21 novembre a giovedì 22 dicembre 2022) DIRETTAMENTE DAL SITO DI RETE DUE.

L’opera di Omero, archetipo di tutti i racconti di viaggio, racconta la storia antica della Grecia. Nel radiodramma di 24 puntate, tante quanti sono i canti originali di Omero, Marco Colli ha cercato di cogliere in quei racconti popolari le radici di un’epoca segnata dalle guerre. Forte di una lunga frequentazione di miti e storia antica della Grecia, ha affrontato un mostro sacro come l’Odissea, riscrivendo i versi di Omero per gli ascoltatori, affinché potessero vivere le atmosfere di quei giorni lontani, approfittando del potere immaginifico del mezzo radiofonico. I remi delle navi che si immergono nei flutti, i sibili delle frecce, le grida dei feriti durante le battaglie, sono state ricostruite dal maestro del suono Yuri Ruspini nel solco di una tradizione fantasy che attirerà l’attenzione degli ascoltatori contemporanei. La radio come una macchina del tempo, attraverso la poesia di Omero ci mostrerà la vita degli Dei e l’anima degli Uomini.

Nel settimo secolo avanti Cristo, in Grecia si verificò un grande sconvolgimento sociale che determinò la decadenza delle monarchie e portò in alto i tiranni. Questi, dopo aver blandito le forze popolari, presero con la prepotenza il potere. Questo fu il tempo dei tiranni, la guerra di Troia uno di questi racconti infiniti.

Dieci anni durò l’assedio, gli schieramenti che si formarono videro tra le loro fila opposti ai greci i troiani. Si videro scendere in campo grandi guerrieri, eroi, semidei. Tra gli eroi degli elleni primeggiarono Nestore, il vecchio re di Pilo domatore di cavalli, Menelao, il ricchissimo signore di Sparta e marito della bella Elena, Aiace, Diomede e il coraggioso Achille, piè veloce. Fra i troiani si distinse Ettore, protetto da Zeus. Tra i valorosi troiani anche Admeto, Adrasto, Enea, infallibile con l’arco e amico del Dio Apollo. Durò dieci anni l’assedio, infine il tranello di Odisseo: il cavallo di legno, lasciato sulla spiaggia carico di guerrieri armati e pronti a combattere, dette i suoi frutti. I greci dilagarono nottetempo nelle strade di Troia, seminando la morte tra i nemici. Così gli eroi espugnarono la città per poi darle fuoco. Quello fu il giorno in cui ebbe inizio “Il ritorno di Odisseo” verso Itaca, dove la tirannia dei Proci, guidati da Antinoo, minacciava il suo trono.

Il ritorno di Odisseo – Originale radiofonico di Marco Colli – Colpo di scena – RETE DUE della RSI (Radio Svizzera Italiana). Con Giuseppe Palasciano (Odisseo), Patrizia Salmoiraghi e Diego Pitruzzella (narratori) e con Anahì Traversi (Atena), Augusto di Bono (Zeus), Margherita Coldesina (Penelope) Luca Maciacchini (Eurimaco), Camilla Parini (Calipso), Valentino Mannias (Ermes), Dario Sansalone (Alcinoo), Jasmine Laurenti (Circe), Riccardo Buffonini (Telemaco), Claudio Moneta (Antinoo) e con Roberto Regazzoni, Marco Cortesi, Giorgio Bonino, Tatiana Winteler Tommaso Giacopini, Simone Visparelli.
Musiche di Lamberto Macchi.
Presa del suono, editing e sonorizzazione Yuri Ruspini.
Regia Marco Colli

ASCOLTA SUL SITO DI RETE DUE-RSI

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Il diluvio di Deucalione

Il diluvio di Deucalione

II diluvio di Deucalione, così chiamato per distinguerlo dal diluvio ogigio e da altri diluvi, fu provocato da Zeus che volle punire gli empi figli di Licaone, figlio di Pelasgo. Liacaone civilizzò l’Arcadia e fu il primo a istituire il culto di Zeus Liceo; ma poi si attirò la collera di Zeus stesso sacrificandogli un fanciullo. Egli fu perciò trasformato in un lupo e la sua casa colpita dalla folgore. La storia di Zeus e delle interiora del fanciullo è, più che un mito, un aneddoto morale che esprime il disgusto dei popoli civili della Grecia per i riti cannibalici praticati in Arcadia in nome di Zeus; riti che, secondo Plutarco (Vita di Pelopida), essi consideravano “barbari e contro natura”. Secondo taluni, i figli di Licaone erano ventidue, secondo altri, cinquanta. La notizia del delitto commesso dai figli di Licaone giunse sull’Olimpo e Zeus, travestito da povero viandante, si recò da quei malvagi. Essi ebbero la sfrontatezza di offrirgli una zuppa in cui le interiora del loro fratello Nitrimmo si trovavano mescolate a quelle di pecore e capre, ma Zeus non si lasciò trarre in inganno e, rovesciando la tavola su cui era stato servito quell’orrendo pasto, li trasformò tutti in lupi, salvo Nitrimmo, cui ridonò la vita. Ritornato sull’Olimpo, il cuore greve di disgusto. Zeus scatenò una grande alluvione sulla terra, che avrebbe dovuto distruggere il genere umano. Ma Deucalione, re di Ftia, avvertito da suo padre Prometeo il Titano, che si era recato a trovare nel Caucaso, costruì un’arca, la riempì di vettovaglie e vi salì con sua moglie Pirra, figlia di Epimeteo. Quando il vento del sud cominciò a soffiare, cadde la pioggia e i fiumi si precipitarono con fragore verso il mare che, gonfiatesi con velocità sorprendente, spazzò via le città della costa e della pianura, finché tutto il mondo fu sommerso, salvo poche vette di monti, e tutte le creature mortali parvero perdute, salvo Deucalione e Pirra.

L’arca navigò per nove giorni e infine, quando la furia delle acque si placò, andò a posarsi sul monte Parnaso o, come altri dicono, sul monte Etna o sul monte Athos, o sul monte Otri in Tessaglia. Si dice che Deucalione fu rassicurato da una colomba che aveva mandato a esplorare in volo la regione circostante. Sbarcati sani e salvi, Deucalione e Pirra offrirono un sacrificio a Zeus Padre, che salva i fuggiaschi e andarono a pregare nel santuario di Temi, presso il fiume Cefiso: il tetto era coperto d’alghe le ceneri dell’altare ormai fredde. Essi supplicarono umilmente che il genere umano potesse rivivere e Zeus, udendo le loro voci da lontano, mandò Ermes a dir loro che qualunque cosa chiedessero sarebbe stata concessa. Apparve allora Temi in persona e ordinò; “Chinate il capo e gettatevi dietro le spalle le ossa di vostra madre!” Poiché Deucalione e Pirra avevano madri diverse, ambedue morte, capirono che la Titanessa alludeva alla Madre Terra e che le sue ossa erano le pietre sparse lungo le rive del fiume. Abbassando dunque il capo, raccolsero codeste pietre e se le gettarono alle spalle, e le pietre si trasformarono in uomini o donne, a seconda che fossero state gettate da Deucalione o da Pirra. Così rinacque il genere umano e da quel giorno “gente” (laos) e “pietra” (laas) sono state designate più o meno con la stessa parola in molte lingue. II mito del diluvio di Deucalione, che evidentemente i portatori della cultura elladica importarono dall’Asia, ha la stessa origine della leggenda biblica di Noè. Ma benché l’invenzione del vino. attribuita a Noè, formi il nucleo di una storia ebraica a sfondo morale, che incidentalmente tende a giustificare l’asservimento dei Cananei a opera dei loro conquistatori Cassiti e Semiti, i Greci negarono a Deucalione il merito di aver coltivato la vite e lo attribuirono a Dioniso. Deucalione, tuttavia, è descritto come fratello di Arianna che divenne, a opera di Dioniso, progenitrice di molte tribù osservanti il culto del vino (vedi 27 8), e mantenne il suo nome che significa “marinaio del vino nuovo” (da deucos e halieus). Il mito di Deucalione ricorda l’alluvione che si verificò in Mesopotamia nel terzo millennio prima di Cristo, ma si ricollega anche alle feste dell’Anno Nuovo celebrate in Babilonia, in Siria e in Palestina. In queste feste si onorava Parnapishtim che aveva versato il dolce vino nuovo ai costruttori dell’arca, nella quale (secondo il poema babilonese di Gilgamesh) egli era scampato con la sua famiglia al diluvio scatenato dalla dea Ishtar. L’arca era la nave della Luna e la festa era celebrata come cerimonia propiziatoria delle piogge autunnali in onore della luna nuova che precedeva immediatamente l’equinozio d’autunno. Ishtar, nel mito greco, viene chiamata Pirra, che è il nome della dea-madre dei Puresati (Filistei), una popolazione cretese che giunse in Palestina attraverso la Cilicia verso il 1200 a. C. In greco pyrrha significa rosso ardente ed è un aggettivo che si usa per designare la vite.

Tuttavia, come si seppe poi, Deucalione e Pirra non furono gli unici sopravvissuti al diluvio, poiché Megaro, figlio di Zeus, fu strappato dal sonno dalle grida di certe gru che gli raccomandavano di rifugiarsi sulla vetta del monte Gerania, che infatti non fu sommerso dalle acque, Un altro scampato fu Cerambo del Pelio che, trasformato in scarabeo dalle Ninfe, volò sulla vetta del Parnaso. Parimenti, gli abitanti di Parnasso, una città fondata da Parnaso, figlio di Poseidone, che inventò l’arte augurale, furono destati dagli ululati dei lupi e li seguirono sulla cima del monte. In onore dei lupi, appunto, chiamarono poi Licorea la loro nuova città. II diluvio ebbe dunque scarso effetto, poiché alcuni dei Parnasi emigrarono in Arcadia e fecero rivivere gli orrendi riti di Licaone. Ancor oggi un fanciullo viene sacrificato a Zeus Liceo e le sue interiora sono unite ad altre in una zuppa, che è poi servita a un gruppo di pastori riuniti presso un torrente. Il pastore che mangia le interiora del fanciullo (assegnate a lui dopo estrazione a sorte) comincia a ululare come un lupo, appende le sue vesti a una quercia e diventa un licantropo. Per otto anni vaga in branco con i lupi, ma se si astiene dal mangiare carne umana per tutto quel periodo, può ritornare al luogo della riunione, attraversare a nuoto il fiume e riprendere le sue vesti. Non molto tempo fa, un Parnasio di nome Damarco passò otto anni coi lupi, poi ridivenne un essere umano e dopo essersi esercitato a lungo in palestra vinse la gara di pugilato nei giochi Olimpici. Codesto Deucalione era fratello della cretese Arianna padre di Oresteo, re dei Locresi Ozoli; ai tempi di Oresteo una cagna bianca partorì un virgulto che Oresteo piantò e che crebbe diventando una vite. Un altro dei suoi figli, Anfizione, accolse, ospitalmente Dioniso e fu il primo uomo che mescolò il vino con l’acqua. Ma il maggiore e più famoso dei figli di Deucalione fu Elleno, padre di tutti i greci.

Il mito del diluvio di Deucalione, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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I vari miti sulle creature del mare

I vari miti sulle creature del mare

Le cinquanta Nereidi, gentili e benefiche assistenti della dea del mare Teti, sono sirene, figlie della Ninfa Doride e di Nereo, un profetico vecchio marino, che ha il potere della metamorfosi. Pare che le cinquanta Nereidi fossero un collegio di cinquanta sacerdotesse della Luna, i cui magici riti assicuravano pesca abbondante. I Forcidi, loro cugini, figli di Ceto e di Forcio, un altro saggio vecchio del mare, sono Ladone, Echidna e le tre Gorgoni che abitano in Libia; le tre Graie; e, secondo taluni, anche le tre Esperidi.

Le Gorgoni si chiamavano Stimo, Furiale e Medusa, un tempo tutte e tre bellissime. Ma una notte Medusa si giacque con Poseidone, e Atena, infuriata perché si erano accoppiati in uno dei suoi templi, tramutò la Gorgone in un mostro alato con occhi fiammeggianti, denti lunghissimi dai quali sporgeva la lingua, unghielli di bronzo e capelli di serpenti: il suo sguardo faceva impietrire gli uomini. Quando, più tardi, Perseo decapitò Medusa, e i figli di Poseidone, Crisaore e Pegaso, balzarono fuori dal suo cadavere, Atena ne applicò la testa alla sua egida; ma altri dicono che quell’egida fu fatta con la pelle di Medusa, che Atena le strappò di dosso. Le Gorgoni rappresentavano la triplice dea e portavano maschere profilattiche, con occhi fiammeggianti e la lingua che sporgeva fra i denti lunghissimi, per spaventare gli estranei e allontanarli dai loro misteri. Gli omeridi conoscevano soltanto una Gorgone che vagava come ombra nel Tartaro (Odissea XI 633-35) e la cui testa, che terrorizzò Odisseo (Odissea XI 634), spiccava sull’egida di Atena, indubbiamente per ammonire la gente a non volere scrutare nei divini misteri nascosti dietro l’egida stessa. I fornai greci usavano dipingere una testa di Gorgone sui loro forni per impedire ai curiosi di aprire lo sportello, rischiando così di rovinare il pane in cottura con un soffio improvviso di aria fresca.

Crisaore era il segno del primo quarto di luna di Demetra, cioè del falcetto d’oro; le compagne della dea lo reggevano in mano quando lo rappresentavano nelle cerimonie. Atena, in questa versione, è la collaboratrice di Zeus, rinata dalla sua testa, e traditrice dell’antica religione. Le tre Arpie, considerate da Omero come personificazione dei venti di tempesta (Odissea XX 66-78), rappresentavano la Alena primitiva, cioè la triplice dea nella sua veste di distruggitrice. Tali erano anche le Graie o le Grigie, come dimostrano i loro nomi Enio («guerresca»), Penfredo («vespa») e Dino («terribile»); la leggenda del loro unico occhio e del loro unico dente deriva dalla interpretazione erronea di qualche dipinto sacro e il cigno nella mitologia europea è l’uccello della morte.

I nomi delle Gorgoni, Steno («forte») Euriale («ampio-vagante») e Medusa («astuta»), sono appellativi della dea-Luna. Gli orfici chiamavano «testa di Medusa» la faccia della luna. Le Graie sono bianche di carnagione e simili a cigni, ma con i capelli grigi fin dalla nascita e un solo dente e un solo occhio in comune. Si chiamano Enio, Penfredo e Dino.

Le tre Esperidi, chiamate Espera, Egle ed Eriteide, vivono nel lontano Occidente, nel giardino che la Madre Terra donò a Era. Taluni le dicono figlie della Notte, altri di Atlante e di Esperide, figlia di Espero; esse cantano dolcemente. I nomi delle Esperidi, descritte come figlie di Ceto e Forco, o della Notte o di Atlante il Titano che regge il cielo nell’estremo Occidente, si riferiscono al tramonto. A quell’ora il cielo si tinge di verde, di giallo e di rosso e ricorda un albero di mele carico di frutti; e il Sole, tagliato dalla linea dell’orizzonte come una mela purpurea, cala verso la morte nelle onde dell’Occidente. Quando il sole è tramontato appare Espero. Questa stella era sacra alla dea dell’amore Afrodite. Se si dimezza trasversalmente una mela, si può vedere in ogni metà una stella a cinque punte.

Echidna era per metà una bellissima donna, per metà un serpente dalla pelle maculata. Viveva un tempo in una grotta profonda tra gli Arimi; mangiava uomini crudi e procreò mostri orrendi a suo marito Tifone; ma Argo dai cento occhi la uccise nel sonno. Echidna generò orrendi figli a Tifone, e cioè Cerbero, il cane infernale a tre teste; l’Idra, serpente acquatico dalle molte teste che viveva a Lerna; la Chimera, capra che sputava fiamme, con la testa di leone e la coda di serpente; e Orione, il cane a due teste di Gerione, che si giacque con la propria madre e generò in lei la Sfinge e il Leone Nemeo.

 

I vari miti sulle creature del mare, riassunti dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Il mito di Tiche e il mito di Nemesi

Il mito di Tiche e il mito di Nemesi

Tiche è la figlia di Zeus ed egli le diede il potere di decidere quale sarà la sorte di questo o quel mortale. A taluni essa concede i doni contenuti nella cornucopia, ad altri nega persino il necessario. Tiche è irresponsabile delle sue decisioni e corre qua e là facendo rimbalzare una palla per dimostrare che la sorte è cosa incerta. Ma se capita che un uomo, che essa abbia favorito, si vanti delle sue ricchezze né mai ne sacrifichi parte agli dèi, né se ne serva per alleviare le pene dei suoi concittadini, ecco che l’antica dea Nemesi si fa avanti per umiliarlo. Nemesi, che abita a Ramnunte in Attica, porta un ramo di melo in una mano e una ruota nell’altra, e in capo una corona adorna di cervi; uno scudiscio pende dalla sua cintura. Essa è figlia dell’Oceano e la sua bellezza è paragonabile a quella di Afrodite. Taluni dicono che Zeus un giorno si innamorò di Nemesi e la inseguì per terra e per mare. Benché essa mutasse continuamente forma, egli riuscì infine a violarla assumendo l’aspetto di un cigno, e dall’uovo che Nemesi depose nacque Elena, causa della guerra di Troia.

Tiche («fortuna») come Diche ed Edo (personificazioni della Legge Naturale o Giustizia, e della Vergogna) è una divinità artificiale inventata dai primi filosofi. Nemesi («debita esecuzione») era stata la dea-Ninfa della Morte e della Vita, cui gli stessi filosofi diedero un nuovo aspetto affidandole un controllo morale su Tiche. La ruota di Tiche rappresentava in origine l’anno solare come indica il suo nome latino. Fortuna (da vortumna, «colei che fa volgere l’anno»). Quando la ruota aveva compiuto mezzo giro, il re sacro, raggiunto l’apice della sua buona sorte, doveva morire (e il suo destino era preannunciato dai cervi di Atteone presenti nella corona di Nemesi), ma quando la ruota aveva compiuto l’intero giro, il re si vendicava del rivale che l’aveva soppiantato. Lo scudiscio era usato nei tempi antichi per la flagellazione sacra, che aveva lo scopo di far fruttificare gli alberi e maturare le messi, mentre il ramo di melo era il lasciapassare del re per i Campi Elisi. La Nemesi che Zeus inseguì non era la personificazione filosofica della giustizia degli dèi, ma la dea-Ninfa originaria, il cui nome più comunemente usato fu Leda.

Nel mito pre-ellenico, è la dea che insegue il divino paredro e, benché questi si sottoponga alle trasformazioni stagionali, essa si trasforma a sua volta e infine lo divora al solstizio d’estate. Nel mito ellenico le parti sono rovesciate: la dea fugge, muta d’aspetto, ma il re la insegue e infine la viola, come nella leggenda di Zeus e di Meti o di Peleo e Teti. Probabilmente queste trasformazioni rituali erano indicate sui raggi della ruota di Nemesi; ma nelle Ciprie omeriche si parla soltanto di un pesce e di «vari animali». «Leda» è un’altra forma di Latona (in greco Letò), che fu inseguita da Pitone, e non da Zeus. I cigni erano sacri alla dea (Euripide, Ifigenia in Tauride) sia per le loro bianche piume, sia per la loro formazione di volo a V, che è un simbolo femminile, sia perché, a mezza estate, si dirigono a nord per accoppiarsi in terre ignote e si pensò che portassero con sé l’anima del re defunto. La Nemesi dei filosofi era onorata a Ramnunte dove, secondo Pausania (I 33 2-3) il comandante in capo dei Persiani, che si preparava a innalzare un trofeo marmoreo per celebrare la sua conquista dell’Attica, fu costretto a ritirarsi quando gli giunse notizia della sconfitta navale di Salamina; il marmo fu allora usato per farne una statua della dea-Ninfa locale. Nemesi. Si suppone che da quel giorno in poi tale dea-Ninfa divenne la personificazione della «Vendetta Divina» anziché della «debita esecuzione» dell’annuale dramma di morte. Dai tempi di Omero in poi, invece, nemesis aveva significato quel caldo sentimento umano che suggerisce di pagare ciò che si deve e di portare a termine il proprio compito. Ma Nemesi, la dea-Ninfa, aveva l’appellativo di Adrastea («ineluttabile»: Strabone, XIII 1 13), e Adrastea era pure il nome della nutrice di Zeus, una Ninfa del frassino; e poiché le Ninfe del frassino e le Erinni erano sorelle, nate dal sangue di Urano, ciò potrebbe spiegare come mai Nemesi finì col personificare la vendetta. Il frassino era uno degli aspetti in cui la dea si trasformava stagionalmente ed era un albero molto importante per i pastori suoi devoti, poiché era associato con i temporali e con il mese in cui nascevano gli agnelli, il terzo dell’anno sacro. Nemesi è detta figlia di Oceano, poiché come dea-Ninfa dal ramo di melo, essa rappresentava anche Afrodite nata dal mare, sorella delle Erinni.

Il mito di Tiche e Nemesi, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Il mito di Zagreo

Il mito di Zagreo

Zeus generò in segreto suo figlio Zagreo in Persefone, prima che essa fosse condotta nell’Oltretomba da suo zio Ade. Egli affidò ai Cureti cretesi figli di Rea, o secondo altri ai Coribanti, il compito di custodire la culla di Zagreo nella grotta Idea e là essi gli danzavano attorno, battendo le loro armi l’una contro l’altra, come già avevano fatto attorno alla culla di Zeus sul Ditte. Ma i Titani, nemici di Zeus, sbiancandosi il volto col gesso per rendersi irriconoscibili, attesero finché i Cureti furono addormentati e a mezzanotte indussero Zagreo a seguirli, offrendogli dei giocattoli: un cono, un rombo, mele d’oro, uno specchio, un astragalo e un batuffolo di lana. Zagreo diede prova di grande coraggio quando poi i Titani gli balzarono addosso minacciosi e si sottopose a varie metamorfosi per trarli in inganno: divenne successivamente Zeus avvolto in pelle di capra, Crono che fa cadere la pioggia, un leone, un cavallo, un serpente cornuto, una tigre e un toro. A questo punto i Titani lo afferrarono saldamente per le corna, gli affondarono i denti nella carne e lo divorarono vivo.

Atena interruppe l’orrendo banchetto poco prima della fine e, impadronitasi del cuore di Zagreo, lo rinchiuse in una figura di gesso, nella quale soffiò la vita; e così Zagreo divenne immortale. Le sue ossa furono raccolte e sepolte a Delfi, e Zeus uccise i Titani colpendoli con la folgore.

Questo mito si riferisce al sacrificio annuale di un fanciullo che si compiva nell’antica Creta. Un sostituto di Minosse, il re-toro, regnava per un solo giorno, partecipava a una danza simboleggiante le cinque stagioni (leone, capra, cavallo, serpente e vitello) e poi veniva ucciso e divorato crudo. I balocchi offerti dai Titani erano oggetti usati dai filosofi orfici, che continuarono la tradizione del sacrificio, ma sostituirono il fanciullo con un vitello. Il rombo era un sasso forato o un vaso, che roteando legato all’estremità di ma corda produceva un suono simile a quello del vento che s’alza; il batuffolo di lana serviva probabilmente a imbrattare con gesso i volti dei Cureti. Venivano chiamati anche Coribanti o danzatori crestati. Gli altri doni servivano a spiegare la natura della cerimonia grazie alla quale i partecipanti si identificavano con il dio: il cono era un antico emblema della dea, cui i Titani sacrificarono Zagreo; lo specchio rappresentava l’alter ego, l’ombra dell’iniziato; le mele d’oro, il suo passaporto per i Campi Elisi dopo la finta morte; l’astragalo, i suoi poteri divinatori. Un inno cretese scoperto pochi anni orsono a Paleocastro, presso la grotta di Ditte, è rivolto al Cronio, il principe dei giovani, che giunge danzando alla testa dei suoi demoni e saltella per accrescere la fertilità del suolo e la fecondità delle greggi, nonché la buona sorte delle flottiglie da pesca. Jane Harrison, in Themis, fa l’ipotesi che i protettori mediante lo scudo, menzionati nell’inno, i quali “ti prendono, o immortale fanciullo, dal fianco di Rea”, fingessero soltanto di uccidere e mangiare le vittime, secondo un rito di iniziazione alla loro società segreta. Ma tutte queste finte morti e cerimonie iniziatiche, diffuse in molte parti del mondo, pare comportassero in origine veri e propri sacrifici umani; e le metamorfosi calendariali di Zagreo lo distinguono dai soliti membri di un clan totemico.

La presenza non canonica della tigre come ultima metamorfosi di Zagreo è spiegabile in quanto Zagreo si identifica con Dioniso: la leggenda della morte e della resurrezione di Dioniso, infatti, è identica alla leggenda della morte e della resurrezione di Zagreo, benché la sua carne sia divorata cotta anziché cruda, e si trovi citato il nome di Rea anziché quello di Artemide. Anche Dioniso era un serpente cornuto (aveva corna e riccioli di serpente alla nascita) e i suoi seguaci orfici mangiavano la carne del dio sotto forma di tori. Zagreo divenne “Zeus avvolto in pelle di capra” poiché Zeus o il suo fanciullo di sostituzione, era asceso al cielo avvolto nella pelle della capra Amaltea. “Crono che fa scendere la pioggia” è un’allusione all’uso dei rombi nelle cerimonie propiziatorie di pioggia. In queste circostanze i Titani erano i Tifami «uomini bianchi come la calce», cioè i Cureti stessi travestiti in modo che lo spettro della vittima non potesse riconoscerli. Quando i sacrifici umani caddero in disuso. Zeus fu rappresentato nell’atto di scagliare la folgore contro i cannibali; e i Titanes, “signori della settimana di sette giorni”, furono confusi con i Titanoi, “gli uomini bianchi come la calce”, a causa della loro ostilità a Zeus.

Il mito di Zagreo, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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